Museo Correr

Museo Correr

PALLADIO A/E VENEZIA.

Percorso

Nonostante all’apparenza si sia detto e mostrato tutto, biblioteche e archivi racchiudono ancora notizie, informazioni, suggestioni, suggerimenti e dati oggettivi per la miglior ricostruzione dell’attività e della personalità di Andrea Palladio, del suo ambiente e delle sue frequentazioni, dei suoi drammi e dei suoi trionfi, dei suoi dubbi, delle sue crisi, delle sue incertezze, anche nelle insidiose avventure veneziane.

Proprio una ricchissima selezione di materiali provenienti dalla Biblioteca Correr, dalla Marciana, dalla Querini Stampalia di Venezia, dalla Bertoliana di Vicenza e dalla Biblioteca Civica di Treviso, costituisce il corpus della mostra, articolata in sei sezioni. In esse si documenta il rapporto di Palladio con la città lagunare, che si stabilisce fin dagli anni ‘50 tramite alcune figure di aristocratici colti e illuminati – soprattutto i fratelli Marcantonio e Daniele Barbaro – partecipi delle più alte sfere politiche e di governo della Serenissima. Questi patrocineranno, più o meno apertamente, tutte le sue imprese architettoniche veneziane. Palladio però, pur apprezzato e attivissimo in terraferma per ville patrizie, riuscirà a realizzare in città soprattutto edifici religiosi, trovando invece evidente resistenza per proposte residenziali e urbanistiche.

La mostra sottolinea inoltre il ruolo di fine intellettuale di Palladio, che pubblica a Venezia opere di carattere filologico e archeologico, oltre al fortunato trattato – Quattro Libri dell’Architettura del 1570. Pur inserito in un ambiente di altissimo profilo culturale, sociale e politico, egli non prenderà mai residenza a Venezia e non ne diverrà mai “cittadino”: forse per un’inconciliabilità profonda tra i suoi legami con la nobiltà di terraferma berica e i poteri forti di Venezia; forse per la sua scarsa attitudine al compromesso e un rigore che poteva apparire incontrollabile. O forse semplicemente perché Andrea amava sperimentare più di quanto un gruppo di governo pur colto e di grande qualità potesse e volesse permettersi di rischiare.

Su tutto questo, con attenzione, con rigore e con significative novità, indaga la mostra veneziana.

Palladio a Venezia. Andrea di Pietro “della Gondola” (Padova 1508, Vicenza ? 1580), dopo le prime esperienze nelle specificità tecnico-pratiche dello scalpellino e del “maestro da muro”, inizia – sotto la protezione dell’umanista Giorgio Trissino e a contatto coi colti esponenti dell’aristocrazia intellettuale di Vicenza- un cammino di formazione sull’architettura, basato sia sulla contemporanea trattatistica, sia sullo studio archeologico diretto e filologico delle antichità – di Roma ma non solo – tanto da diventare riconosciuto specialista in materia e, quindi, accreditato interprete della loro attualizzazione in forma di “vera architettura”. Rinominato dallo stesso Trissino “Palladio”, lavora alla renovatio urbisneo-classica di Vicenza – il cui punto di forza è la mutazione del gotico Palazzo della Ragione in Basilica romana mediante la costruzione delle logge – e per ville di quel territorio. Fin dagli anni ’40 lavora altresì per ville di terraferma di committenti veneziani (Pisani, Contarini), mentre il rapporto diretto e duraturo con la città di Venezia si stabilisce dai primi anni ’50 tramite alcune figure di aristocratici colti e illuminati – soprattutto i fratelli Marcantonio e Daniele Barbaro – partecipi delle più alte sfere politiche e di governo della Serenissima. La stessa cerchia patrocina, più o meno apertamente, tutte le imprese architettoniche veneziane di Palladio, che presto raccoglie credito e ammirazione. Attivissimo in terraferma per ville patriziate,viene incaricato di progettare soprattutto edifici religiosi, trovando invece evidente resistenza per proposte residenziali e urbanistiche. A Venezia, egli pubblica inoltre opere di carattere filologico e archeologico, oltre al fortunato trattato – Quattro Libri dell’Architettura del 1570. Dal punto di vista sociale, a Venezia vive a stretto contatto con figure alto profilo culturale, coinvolte nel governo dello Stato o di importati istituti assistenziali e religiosi. Ciononostante, non si considererà mai cittadino veneziano, non fissa qui residenza e alternerà sempre la presenza in città – soprattutto amato ospite dei fratelli Giambattista e Jacopo Contarini nel loro palazzo sul Canal Grande – ai numerosi impegni professionali nella regione e a Vicenza.

Palladio e la forma urbis di Venezia. Nello straordinario continuum urbano di Venezia non si può parlare di “pianificazione urbanistica” in senso proprio. In verità, tale intento è sotteso chiaramente nel progetto di Palladio per il nuovo possibile ponte di Rialto, che coinvolge le aree urbane alle opposte testate, che non riuscirà a realizzare. Tuttavia proprio Palladio – mediante le sue ultime opere – segnerà e ridefinirà la scena urbana più peculiare e simbolica di Venezia, il Bacino di San Marco, attraverso la facciata di San Giorgio Maggiore e, sull’isola della Giudecca, della Chiesa votiva del Redentore e del complesso delle Zitelle, con un risultato di straordinaria forza rinnovatrice. Questi tre capisaldi fissano figurativamente il limite del grande vuoto acqueo antistante la piazzetta di San Marco – il nuovo “foro” di una Venezia “classica” voluto dal doge Andrea Gritti per mano di Sansovino – rendendolo percepibile e misurabile quale nuovo spazio urbano integrato alla città. Così la facciata di San Giorgio diventa a un tempo riscontro alla facciata gotica di Palazzo Ducale e fuga prospettica inquadrata dall’arcone della Torre dei Mori nel percorso da Rialto. La mole del Redentore, con il calibratissimo schermo della bianca facciata, ne è il termine occidentale, dopo il più lieve ma pur acuto accento delle Zitelle. Per questo Palladio può essere indicato come autore della rinnovata forma urbisveneziana, assunta e codificata già dai contemporanei e tuttora per noi emblematica. Le due vedute a volo d’uccello del De Barbari (1500) e dell’Arzenti (inizio sec. XVII), testimoni rispettivamente del “prima” e del “dopo”, possono a vista d’occhio rendere ragione di questa mutazione.

L’ambiente veneziano di Palladio.

Nuovi saperi, architettura e pratica professionale. Palladio a Venezia si immerge in quel fervido ambiente culturale le cui voci già lo hanno interessato a Vicenza. Nel campo dell’architettura – oltre agli esempi contemporanei del “costruito” ove primeggiava Sansovino – assai stimato è il veronese Sanmicheli, mentre il dibattito teorico si alimenta, tra l’altro, dei “libri” di Sebastiano Serio usciti dalle officine tipografiche veneziane. Nella città lagunare la ricerca palladiana della “vera architettura” ha tappa fondamentale nella collaborazione col poliedrico Daniele Barbaro, patriarca in pectore di Aquileia, col quale appronta fin dai primi anni ’50 l’edizione del De Architectura di Vitruvio, pubblicata dal Marcolini nel 1556 – di cui sono esposti in mostra i preziosi appunti autografi preparatori prestati dalla Biblioteca Marciana – . Per Palladio è una preziosa occasione di arricchimento, che contribuisce a trasformare le sue esperienze di archeologo “sul campo” in vera sapienza filologica sull’antico, utile anche per dimostrare le inesauribili possibilità espressive del verbo classico, con libertà creativa anche nel contemporaneo, pur salvaguardandone la “verità”. Essenziale alla maturazione sull’architettura è anche l’approfondimento di varie discipline, frutto del lavoro di molti intellettuali italiani che vede allora la luce nelle attivissime officine editoriali lagunari. Trattati di idraulica (Ceredi), di meccanica applicata (Tartaglia e Ramelli), mineralogia (Agricola), matematica e geometria (Tartaglia), misurazione ottica (Belli), armonia geometrico-musicale (Zarlino), ecc., contribuiscono dunque a formare l’aggiornato e stimolante panorama culturale di Palladio, nella consapevolezza degli essenziali contributi che possono offrire all’arte eletta dell’architettura, prodotto di privilegiata sintesi intellettuale. In mostra è esposta una scelta di coeve opere grafiche su carta, assieme ad alcuni esemplari di strumenti per il disegno e la misura.

Intellettuali, amici, committenti. Palladio inizia il perfezionamento della sua formazione culturale frequentando la cerchia vicentina di Giangiorgio Trissino. È proprio lui – fine umanista, storico e linguista, assai introdotto anche a Venezia – a presentare il promettente architetto nei più aggiornati ambienti culturali e politici lagunari. Qui per Palladio diventa presto centrale il privilegiato contatto con Daniele Barbaro e col fratello Marcantonio, diplomatico e uomo di governo. Per loro tramite e garanzia, trova la stima di altre altolocate personalità, che diverranno spesso sue committenti, come il patriarca Giovanni Grimani, i fratelli Jacopo e Giambattista Contarini, Leonardo Mocenigo e molti altri. Per essi Palladio si rivela interlocutore capace di dare forma architettonica a esigenze di diverso ordine e valenza, con un livello di competenza – sia tecnica che intellettuale – tra i più alti allora disponibili. Anche nei vivaci circoli veneziani facenti capo agli editori-stampatori Palladio ha modo di accostare notevolissime figure di intellettuali poligrafi quali Francesco Sansovino – figlio del celebre Jacopo – i fiorentini Anton Francesco Doni e Giorgio Vasari.

Palladio: attività a Venezia.

L’opera teorica, filologica, letteraria e di illustratore. A contatto con l’ambiente veneziano Palladio prende coscienza del proprio ruolo di uomo di cultura, attivo sia nella pratica del costruire, sia nella pura produzione intellettuale. Gli stimolanti rapporti intrattenuti a Venezia con poligrafi e stampatori, unitamente all’incoraggiamento di figure come Daniele Barbaro, sono all’origine delle sue imprese editoriali autonome. La più precoce è l’agile libretto L’antichita di Roma Roma, Lucrino; Venezia, Pagan, 1554, frutto degli approfondimenti archeologici compiuti nei vari viaggi a Roma. Nato come pratica ma non superficiale “mappa turistica” della città antica, avrà una notevole e prolungata fortuna, con oltre 50 tra ristampe e riedizioni. I Quattro Libri dell’Architettura – Venezia, D. de’ Franceschi, 1570 è il trattato destinato a stabilire definitivamente la fortuna plurisecolare di Palladio come modello paradigmatico dell’architettura neo-classica, addirittura più delle opere realizzate. Il lavoro scaturisce dall’intenzione di fissare, in una sintesi esemplare, l’ormai lunga esperienza compiuta nel campo filogico-archeologico – l’”antico” – e in quello dell’architettura costruita – il “moderno”. Con non celata presunzione di oggettività, in quest’opera Palladio crea un unitario e sistematico laboratorio tipologico, eletto a modello di riferimento per il linguaggio “vero” dell’architettura e delle sue infinite possibilità. I Quattro Libri saranno infatti il più diffuso e durevole testo d’architettura fino al secolo XIX e ben oltre i confini europei.

I Commentari di C. Giulio Cesare…. – Venezia, P. de’ Franceschi, 1575: Gli interessi di Andrea per questo campo della filologia, unitamente a quelli per la tecnica militare rivelano la ricchezza del suo universo culturale. Qui egli presiede alla efficace parte illustrativa, oltre a integrare le parti inerenti la scienza militare romana. Proprio in qualità di illustratore, su richiesta sia dagli autori che dagli stessi editori-stampatori, Palladio occasionalmente mette a frutto la sua competenza filologica sull’antico per accompagnare figurativamente i testi, o quella architettonica per la composizione dei frontespizi. Sono note o attendibilmente attribuite le sue prestazioni per L’Italia liberata dai Goti del Trissino,Alamanna di Olivieri, Navigationi et Viaggi (vol.3°) del Ramusio, Artis Gymnasticae del Mercuriale.

L’opera architettonica a Venezia e nella terraferma veneziana. Verso la metà degli anni ’50, per volontà di un ristretto gruppo di intellettuali aristocratici capeggiato dai fratelli Barbaro, in dichiarata alternativa al più anziano Sansovino, il vicentino Palladio – ormai quasi cinquantenne – è proposto come moderno aggiornato interprete della rinascita classicista in architettura e in questa veste ricopre a Venezia importanti incarichi in ambito religioso: facciate per S. Pietro di Castello e S. Francesco della Vigna, radicali riassetti dei complessi dei Lateranensi alla Carità e dei Benedettini in S. Giorgio Maggiore, ricostruzione di S. Lucia. Entrato in contatto con un gruppo di nobili impegnati in istituti assistenziali, anche questo campo presta la propria opera dimostrandosi capace interprete della spiritualità controriformista, come documentano gli interventi all’Ospedaletto e alle Zitelle. Diversamente, lo spirito tradizionalista della classe aristocratica lagunare, se di buon grado continua a favorirlo per nuove ville in terraferma – non gli dà possibilità di esprimersi né nell’architettura civile, né nell’urbanistica, come egli stesso riscontra nella pubblicazione di progetti irrealizzati o “virtuali” nei Quattro Libri (1570). Gode comunque a Venezia di alta considerazione e stima professionale, costantemente richiesto per consulenze e prestazioni tecniche a livello privato e pubblico, come nel caso dei cantieri di restauro successivi agli incendi di Palazzo Ducale, nonché per incombenze di particolare valenza filologica, come la costruzione di un provvisorio teatro all’antica, o di alta rappresentanza statale come negli apparati per Enrico III di Francia. In Venezia la sua indelebile, fortissima impronta resta quella impressa nella “scena” urbana per eccellenza, il bacino di San Marco, ridefinito, come si è detto, dai capisaldi visivi delle tre facciate palladiane di San Giorgio, delle Zitelle e del Redentore

Il Veneto per la “fortuna” di Palladio. La plurisecolare vastissima fortuna dell’impronta palladiana in architettura è essenzialmente dovuta alla eccezionale efficacia del suo trattato I Quattro Libri dell’Architettura. Le originarie matrici xilografiche passate sotto i torchi di Domenico de’ Franceschi nel 1570, serviranno in Venezia per svariate ristampe cinque-seicentesche fino a definitiva usura. Poi, innumerevoli saranno le riedizioni con rinnovati materiali tipografici. Ancor prima dell’edizione plurilingue (italiano, francese, inglese) di Venezia 1726-20, importanti sono le edizioni tradotte all’estero: Valladolid 1625, Parigi 1650, Amsterdam 1682. Quindi ancora Londra 1721, La Haye 1726, Londra 1738, Madrid 1797 ecc. Nel secolo XVII in Inghilterra il verbo palladiano classicista si radica precocemente e con particolare energia, promosso da figure quali Inigo Jones, Henry Wotton, e Colen Campbell; quindi, nel secolo XVIII da Lord Burlington. Venezia e il Veneto restano comunque – per tutto il secolo XVIII il principale polo di irradiazione del seme palladiano autentico, che alimenta – anche oltre oceano – il sempre più diffuso “palladianesimo”. Allora la figura storica di Palladio viene biograficamente messa meglio a fuoco (Temanza, 1762). Parallelamente inizia una accurata ricognizione delle opere, comprese quelle non incluse originariamente nei Quattro Libri come le chiese veneziane. Esse vengono ripubblicate mediante tavole e rilievi in edizioni spesso riprese in formati ridotti più economici, bilingui oppure con testi integralmente tradotti, nel tentativo di rivisitare i modelli assoluti – cioè le architetture di Palladio – per ridurle a una ancor più rigorosa codificazione normativa, voluta dalla ormai voga neoclassica internazionale. La mostra presenta buona parte della pubblicistica veneta su Palladio fra i secoli XVIII e XIX: dopo la rivisitazione illuminista, la nutrita produzione locale del secolo XIX a carattere più semplicemente manualistico, ove le “regole” sono estrapolate ad uso delle accademie di formazione artistica e delle scuole professionali, fino alle prime vere monografie storico-critiche moderne (Magrini, 1845), per finire all’omologo tematico della mostra Palladio e Venezia del Ferrari (1880).

Palladio: il volto, il mito. Soprattutto durante i secoli XVIII e XIX, man mano che il linguaggio della sua architettura diventa il verbo neo-classico internazionale e, conseguentemente, assume crescente significato anche la sua figura storica, si pone il problema del vero “volto” di Palladio. Un problema destinato a rimanere lungamente irrisolto e solo oggi in parte chiarito. L’unica effige palladiana storicamente attendibile ci è riportata in una copia del secolo XVIII (Vicenza, Villa Valmarana “ai nani”) di un ritratto probabilmente dovuto originariamente a G. B. Maganza (pittore e poeta vernacolare lungamente sodale dell’architetto). È qui proposta una interessante rassegna di ritratti palladiani a stampa – spesso fantasiosi o basati su inattendibili modelli – tra i secoli XVIII e XIX, di prevalente produzione veneta. Si va da quelli del Settecento – il secolo del più vivace “culto” dell’architetto, talvolta con eroici mezzi-busti – fino alle figurazioni più romanticamente e quasi popolarmente agiografiche dell’Ottocento. Nel secolo XIX anche la medaglistica celebrativa d’occasione, spesso di buon livello (Putinati, Stiore), rende il proprio contributo alla gloria dell’architetto.