L’attribuzione dell’Ebbrezza di Noè a Giovanni Bellini
Dipinta intorno al 1515, l’opera è citata per la prima volta nel 1895 nell’inventario redatto dopo la morte di Jean Gigoux, il collezionista che l’aveva scoperto e acquistato, in vista del lascito al museo di Besançon un anno dopo. La sua storia durante i quattro secoli precedenti rimane sconosciuta. La paternità dell’opera sarà a lungo discussa. Oltre a Giorgione, sono stati fatti i nomi di Cariani, Lotto e Tiziano. Il critico Roberto Longhi nel 1927 e l’americano Bernard Berenson nel 1957 ne confermano l’attribuzione a Bellini, datandola alla fine della vita del pittore veneziano. Da sessant’anni l’opera è presente nelle principali mostre e pubblicazioni che hanno segnato il riconoscimento moderno di Giovanni Bellini in Europa e si è imposta, in modo quasi unanime, come un capolavoro del maestro, definito da Longhi nel 1956 «la prima opera della pittura moderna».
L’Ebbrezza di Noè nell’opera di Bellini
L’artista, definito nel 1506 da Dürer come «molto vecchio, ma ancora il miglior pittore di tutti”, affronta nuovi temi in una serie di dipinti tra cui l’Ebbrezza di Noè, l’unica opera ispirata all’Antico Testamento. La tela può essere considerata una sorta di «testamento visivo» del pittore, caratteristica dell’ultima maniera del maestro, quando si avvicina allo stile del suo discepolo Giorgione, morto nel 1510. L’espressione psicologica dei tre fratelli intorno alla figura di Noè, ma soprattutto la libertà del pennello e il suo tocco vibrante, conferiscono a questa pittura la qualità di “atmosferica”, in cui Bellini dimostra di avere assimilato la rivoluzione di Giorgione, ma anche di essere ancora capace di inventare un’iconografia nuova su un tema raro nella storia della pittura.
L’Ebbrezza di Noè: quale interpretazione?
Tratto dalla Genesi (9.18-27), il soggetto evoca l’episodio in cui Noè, ubriaco per aver assaggiato il vino della sua vigna, si è addormentato nudo. Suo figlio Cam lo scopre assopito, avverte i fratelli che lo vogliono coprire, e ride nel vedere ciò che i Greci chiamavano le “parti vergognose”. Noè maledirà Cam e la sua discendenza (Canaan) condannata alla schiavitù. Questo dramma familiare è interpretato come il ripristino di un ordine gerarchico tra i sopravvissuti al diluvio purificatore, la causa e la giustificazione della disuguaglianza tra gli uomini che discendono dai tre fratelli.
Le interpretazioni riguardano essenzialmente:
- la simbologia religiosa della composizione (Noè deriso, prefigurante il Cristo deriso; il vino, simbolo dell’eucarestia);
- la trattazione psicologica del tema (l’inquadratura della composizione, simile a un bassorilievo, che proietta il gruppo verso lo spettatore e gli impone la vista disturbante di questo corpo rigido) ed eventualmente le sue implicazioni autobiografiche;
- le diverse sfaccettature dell’ “invenzione” in Bellini alla fine della sua vita (la gestualità e i giochi di sguardi);
- il contesto morale e politico in cui l’opera è stata concepita (un invito alla pace mentre Venezia deve affrontare l’Europa unita nella lega di Cambrai).