La formazione di Francesco Guardi avviene all’interno di una modesta bottega a conduzione familiare, dove tutti sono pittori, dal padre Domenico ai fratelli Nicolò e Antonio.
Non è nota con certezza la data d’inizio del suo lavoro di vedutista, forse attorno al 1755, quando il pittore ha ormai più di quarant’anni e alle spalle la non esaltante carriera di figurista. Guardi comincia a realizzare le prime vedute probabilmente nel tentativo di agganciare il lucroso mercato dei visitatori stranieri, orfano in quegli anni di Canaletto, allora trasferitosi in Inghilterra. Le prime opere ricalcano le composizioni di Canaletto e Marieschi, la stesura pittorica è fluida e controllata, ancora lontana da quella frizzante e stenografica che lo renderà celebre. La sua vena singolare emerge tuttavia già in alcune di queste opere del primo periodo, dove le figure, costruite con spumeggianti impasti di colore, rivelano un timbro cromatico vivacissimo.
Il suo momento più fortunato si colloca tra il settimo e l’ottavo decennio: nel 1764 riceve la commissione di due grandi vedute della Piazza di San Marco, eseguite per un “forestiero inglese”. Di poco successive le dodici tele delle Feste dogali desunte da modelli di Canaletto, incisi da Giambattista Brustolon.
Dalle stampe Francesco Guardi deriva le sue pitture oggi al Louvre: il risultato è davvero sorprendente e rivela la forza trasfiguratrice e fantastica del pittore.
Nel 1782 viene incaricato di eseguire quattro dipinti per commemorare la visita di papa Pio VI a Venezia. Per l’artista, ormai settantenne, finalmente un incarico ufficiale, seguito poi dalle tele celebrative della venuta a Venezia degli archiduchi di Russia in incognito sotto il nome di Conti del Nord. Non furono invece mai realizzate quelle che dovevano ricordare le nozze fra il duca Armando di Polignac e la baronessa Idalia di Neukirchen, di cui però si conservano nel Gabinetto dei disegni e delle stampe del Museo Correr gli splendidi fogli preparatori.
Con il tempo il suo stile personalissimo diviene sempre più libero e allusivo: le proporzioni fra i vari elementi sono liberamente alterate, la struttura prospettica diviene elastica e si deforma senza alcun aggancio con la realtà. Infine le figure diventano semplici macchie di colore, un rapido scarabocchio bianco o un punto nero tracciato con un segno tremolante.
Oltre agli aerei capricci, dipinge anche alcune splendide immagini di ville immerse nel verde della campagna veneta e alle tradizionali riprese di Venezia egli affianca quelle della laguna, ampliando gli orizzonti del vedutismo veneziano settecentesco fino a dissolverlo in vaste distese d’acqua e di cielo.
Dopo la morte nel 1793, su Francesco Guardi cade l’oblio. La sua riscoperta è merito della critica del Novecento, e ha trovato il suo momento decisivo nella bella mostra curata da Pietro Zampetti, tenutasi a Palazzo Grassi nel 1965.