A ritardare il pieno riconoscimento di Schiavone, inventore di uno stile sintetico nuovo, di tocco e a tratti quasi ‘informale’, hanno contribuito sicuramente le nebbie che ancora avvolgono la sua biografia: in particolare la formazione tra la nativa Zara (in Croazia), l’Italia Centrale (Bologna? Firenze? Roma?) e la meta finale, Venezia. Eppure, le sue opere raggiungono vertici di straordinario livello; i suoi dipinti, disegni e incisioni impreziosiscono le dimore dei maggiori patrizi veneziani e finiscono poi nelle grandi collezioni reali europee; i suoi servigi vengono richiesti per la decorazione di numerose Chiese e tante repliche antiche di sue ideazioni attestano la fortuna delle sue invenzioni.
Fu Vasari a condizionare le biografie successive, definendo Schiavone esponente di “una certa pratica che s’usa a Vinezia, di macchie o vero bozze, senza esser finita punto”: un precursore dell’informale, verrebbe oggi da dire. Vasari lo criticò, eppure, ancor prima di recarsi a Venezia nel ’41, gli commissionò la rappresentazione di una “Battaglia di Tunisi” per Ottaviano de’ Medici. Considerata la sua opinione sulla pittura lagunare, la cosa ha dell’eccezionale, spiegabile forse con la mediazione dell’Aretino, amico comune, se non con l’intento di dimostrare la superiorità sua o della scuola fiorentina.
Certo è – come sottolinea Enrico Maria Dal Pozzolo in catalogo – che il “San Girolamo” che Vasari dipinse per Ottaviano l’anno successivo, ora a Palazzo Pitti ed esposto a Venezia in questa occasione, pare “l’esatto contrario della proposta linguistica che Schiavone andava diffondendo” in quegli anni. Contro i commenti Vasariani e in difesa di Schiavone – che addirittura viene posto da Giulio Cesare Gigli in apertura del corteo “De’ Veneziani” che seguono il carro della “Pittura Trionfante” (1615) – furono in molti a scagliarsi: grandi pittori come Annibale Carracci ed El Greco, e critici in testa ai quali Marco Boschini – rispondendo a Vasari disse: “O machie senza machia, anzi spendori/che luse più de qual se sia lumiera”! Era la “furia Dalmatina”, dal pennello veloce come una freccia. Una forza della natura.
E se già Ridolfi, nelle “Meraviglie dell’Arte” (1648), ricordava che Jacopo Tintoretto era solito ripetere “ch’era degno di riprensione quel Pittore. Che non tenesse in casa sua un quadro d’Andrea”, qualche anno più tardi Boschini precisa – su fonte diretta del figlio Domenico – che Tintoretto addirittura “teneva avanti di sè, come esemplare, un quadro di questo Auttore per impressionarsi di quel gran Carattere di Colorito, così forzuto e punto”. Certamente l’influenza di Schiavone su Jacopo Robusti e gli indizi di una loro frequentazione non episodica sono ormai accertati (non per nulla in passato furono parecchie le confusioni attributive tra i due), così com’è condiviso dalla critica che il pittore dalmata sia stato il principale diffusore del Parmigianino in area Veneta.