Le immagini di Venezia costituiscono uno degli aspetti più importanti della maturità artistica di Turner. Pur avendo trascorso relativamente poco tempo a Venezia – meno di quattro settimane in tutto nel corso di tre diversi soggiorni – egli stabilì un legame molto stretto con la città, attratto in parte dalle connessioni storico/letterarie e dalla fama dei suoi pittori, in parte dalla sua unica bellezza. Il mare e gli effetti di luce sull’acqua erano sempre stati soggetti importanti per Turner: inevitabilmente, perciò, rimase affascinato da quella tipica luce veneziana, prodotto di una situazione ambientale straordinaria, tra acqua e terra, mare e laguna.
Le opere di Turner esposte in mostra provengono dall’immenso lascito dell’artista, custodito alla Tate Britain a Londra. Solo pochissime furono esposte nell’arco della sua vita, e sebbene esse in parte appaiano incompiute, ci consentono di cogliere gli aspetti più profondi del rapporto tra l’artista e Venezia, il cui fascino influenzò profondamente la sua produzione degli ultimi vent’anni.
Turner giunse a Venezia nel 1819 avendone già un’idea, un’immagine, grazie soprattutto alle opere di Canaletto (1697-1768). Come molti della sua generazione, Turner conosceva la produzione artistica di Canaletto perlopiù attraverso le incisioni, in particolare quelle di Antonio Visentini apparse tra il 1735 e il 1742, raffiguranti il Canal Grande, le chiese e gli spazi pubblici della città. Turner rese omaggio a Canaletto nel suo primo quadro di soggetto veneziano, in cui “Canaletti” è raffigurato, con atteggiamento improbabile, mentre dipinge all’aperto. Ma Turner non si lasciò mai influenzare completamente dall’esempio di Canaletto e, pur assorbendone alcuni principi, giunse progressivamente a esiti espressivi totalmente nuovi e diversi. L’influenza di Canaletto si avverte anche nelle opere di altri artisti britannici di quel periodo, fra cui William Marlow e Richard Parkes Bonington, che esponevano sia a Parigi che a Londra. Il dipinto di Marlow, più tardo, costituisce un esempio significativo di come Londra e Venezia erano viste alla fine del Settecento.
I tre soggiorni veneziani di Turner furono piuttosto brevi. Nel 1819, dall’ 8 al 13 settembre, alloggia all’Albergo Leon Bianco; nel 1833, dal 9 settembre per circa una settimana, soggiorna all’Hotel Europa in Ca’ Giustinian; nel 1840, tra il 20 agosto e il 3 settembre, alloggia nuovamente all’Hotel Europa. Turner, se disponeva di poco tempo, aveva l’abitudine di realizzare schizzi soprattutto a matita, di esecuzione molto più rapida rispetto all’acquerello. Ciò spiega la sua produzione veneziana del primo viaggio, in qualche modo sbrigativa: dipinse infatti solo quattro acquerelli, che pure colgono brillantemente l’effetto del sole del mattino sulle acque del Bacino. In maniera analoga, la visita del 1833 è documentata quasi esclusivamente nei taccuini, benché alcuni studi di colore eseguiti su fogli di carta grigia costituiscano lo spunto iniziale per composizioni che egli rielaborò in seguito nei dipinti ad olio. L’ultima visita, nel 1840, fu il più lungo e produttivo dei suoi soggiorni veneziani. Fra il 1833 e il 1846 Turner espose ben venticinque dipinti a olio di soggetto veneziano e i contemporanei erano certo consapevoli del profondo legame che univa l’artista con Venezia. Ma il fascino che la città esercitò su di lui divenne realmente noto solo dopo la sua morte. Nel suo studio, infatti, vennero trovati dieci taccuini con centinaia di scene veneziane, oltre a un notevole gruppo di acquerelli, che costituiscono la testimonianza più evidente della sua visione della città.
Se Canaletto esercitò una forte influenza sull’idea turneriana di Venezia, non meno importanti furono le fonti letterarie, in particolare le opere di Shakespeare ambientate in città – Il mercante di Venezia e Otello – e le poesie e i drammi in versi di Byron. La parte conclusiva del Childe Harold’s Pilgrimage di Byron venne pubblicata nel 1818, proprio quando la passione di Turner per l’arte, la storia e il paesaggio dell’Italia era al culmine e l’opera di Byron potrebbe aver rafforzato la sua determinazione a recarsi per la prima volta a Venezia. La fama di Turner si basava infatti principalmente su immagini di rovine pittoresche e l’evocazione di Byron di una Venezia ancora bella, malgrado «i suoi palazzi stiano crollando sulle sponde», dovette esercitare su di lui una forte attrazione. Negli anni Venti dell’Ottocento, Turner produsse due serie di illustrazioni per le poesie di Samuel Rogers che godettero di un’immensa popolarità nell’Ottocento, contribuendo a far conoscere la sua opera a molti delle generazioni successive, tra cui il giovane John Ruskin.
Nell’ultimo decennio del Settecento il mondo artistico londinese era incantato dalla pittura veneziana. Nel 1802 la Pace di Amiens segnò una tregua temporanea nella guerra anglo-francese, rendendo nuovamente possibili ai britannici i viaggi sul continente. Turner poté perciò andare a Parigi per studiare al Louvre, che all’epoca ospitava molte opere d’arte requisite dalle truppe napoleoniche. Alcune provenivano da Venezia, e tra queste vi erano dipinti di Veronese, Tiziano e Tintoretto: Turner ammirava le opere in cui il paesaggio svolgeva un ruolo essenziale nell’azione raffigurata, anziché fungere semplicemente da sfondo. Fu particolarmente colpito dal «colore e pathos dell’effetto» di Tiziano e nei propri dipinti cercò di assimilare la lezione del maestro.
Da questa sala in poi le opere di Turner sono disposte in modo da condurre l’osservatore in una sorta di itinerario in città a partire da Piazza San Marco e la Piazzetta. Questi spazi aperti sono dominati da Palazzo Ducale, residenza del Doge e cuore del governo della Repubblica, dalla Basilica e dal Campanile, il più alto in città, che aveva subìto danni ripetuti e che, durante l’ultima visita di Turner, era coperto nella parte superiore da impalcature. La Basilica era stata un tempo la cappella privata del Doge, ma nel 1807 Napoleone ne aveva fatto la cattedrale della città. Molti artisti stranieri trovavano sconcertante la sua mescolanza di stili: il poeta Thomas Moore la definì «barbarica». Turner ne studiò l’esterno durante il primo viaggio e in quelli successivi predilesse gli interni, scegliendo una carta marrone per suggerire la penombra ed esaltare il luccichio dei mosaici.
Nel Settecento i quadri di Canaletto avevano imposto prevalentemente il gusto per le raffigurazioni della città sotto un sole scintillante. Tuttavia, man mano che i palazzi si sgretolavano e i canali venivano soffocati da piante selvatiche, poeti come Thomas Moore iniziarono a diffondere l’idea che la magia di Venezia si palesasse solo quando la «luce fioca» ne mascherava la decadenza. Turner presentò al pubblico solo un dipinto di Venezia al chiaro di luna. I suoi contemporanei non ne conoscevano, quindi, i molti studi di notturni, eseguiti principalmente per diletto personale. Fino ad anni relativamente recenti, pertanto, la maggior parte di queste opere non era mai stata esposta.
Durante il suo ultimo soggiorno a Venezia, Turner usò la sua stanza all’Hotel Europa come studio. L’albergo trovava spazio a Ca’ Giustinian, edificio prossimo a quello che oggi ospita l’Hotel Europa e Regina (dove alloggiò Monet) e più vicino all’imbocco del Canal Grande. Le finestre della stanza di Turner guardavano, a est verso il Campanile di San Marco e, di fronte, attraversato il canale, verso la Dogana e la Salute. Vedute dunque eccezionali, come l’artista non manca di annotare in molti degli studi qui esposti.
Ippolito Caffi (Belluno 1809 – acque di Lissa, Croazia 1866) nasce a Belluno nel 1809. Dal 1825 frequenta a Venezia l’Accademia di Belle Arti ove studia la pittura del passato e le vedute di Canaletto. Grande innovatore della tradizione vedutistica veneziana, viaggia a lungo per l’Italia, risiedendo dal ’32 al ‘36 a Roma, meta di studio dei pittori di paesaggio di tutta Europa. Qui realizza splendide immagini delle antiche rovine, ottenendo un buon successo. Seguono soggiorni in Medio Oriente e in Grecia e, nel ’48, la partecipazione ai moti risorgimentali, che gli causerà alcuni anni di esilio. In questo periodo espone, tra l’altro, nel ’51, alla Great Exhibition of Picture di Londra. Al rientro a Venezia, nel 1857, Caffi ne riprende con rinnovata passione i colori e la luce in una serie di immagini divenute famose: le serenate in Canal Grande, S. Giorgio Maggiore, il carnevale, in cui manifesta un profondo interesse verso lo studio della luce e le immagini notturne. Questa ricerca espressiva è efficacemente testimoniata nelle opere qui esposte.
Turner dedicò un intero taccuino alle prospettive di tutto il Canal Grande, soffermandosi in particolare su palazzi e chiese. Altri acquerelli riprendono le zone intorno ai due alberghi dove alloggiò: quella vicino al Ponte di Rialto e quella di fronte alla Dogana. Turner lavorava da una barca o dagli approdi che lo costellano. Le vedute del tratto finale del canale verso il bacino di San Marco sono dominate dalla chiesa di Santa Maria della Salute, con le cupole trasfigurate dal gioco pomeridiano di luci e ombre.
Il Canale della Giudecca separa la città dall’omonima isola. Durante la sua prima visita, Turner si era brevemente avventurato alla Giudecca, arrivando solo fino alla chiesa palladiana del Redentore, eretta nel Cinquecento. Fu soltanto nel corso del suo ultimo soggiorno, nel 1840, che cominciò davvero ad apprezzare le spettacolari vedute che da lì si aprivano sul cuore della città. Gli artisti del passato avevano in larga parte trascurato il Canale della Giudecca, e così Turner sfruttò al meglio l’opportunità di presentare i monumenti più noti e tipici di Venezia in maniera sorprendentemente innovativa. Proprio di fronte a Palazzo Ducale, a est della Giudecca, si trova l’isola di San Giorgio Maggiore, i cui edifici furono anch’essi in gran parte concepiti da Palladio a metà del Cinquecento. Soprattutto notevole è la chiesa di San Giorgio che con il campanile e la cupola compare ripetutamente negli acquerelli di Turner, a volte visti dai moli o dalle rive dei canali cittadini, altre volte dall’acqua. In particolare, lo affascinavano i giochi di luce sulle superfici di mattoni e marmo.
Dalla Riva degli Schiavoni si gode una vista splendida del Bacino di San Marco e dei più famosi monumenti. Un tempo questo era stato anche il cuore commerciale della città, ma all’epoca di Turner il volume dei traffici marittimi si era significativamente ridotto. Pertanto, immediatamente percepibile allo sguardo degli artisti ottocenteschi era la differenza con l’energia pulsante che emanava dai dipinti di Canaletto, risalenti all’incirca a un secolo prima. Anche per questo, Turner, nelle sue riprese del Bacino, rivolse preferibilmente l’attenzione a imbarcazioni piccole, quali le gondole o i battelli da pesca (bragozzi).
Byron descrisse Venezia come un gioiello che sorge dal mare, ma pochi furono gli artisti che si soffermarono sulla sua connotazione insulare, tra le vaste distese d’acqua della laguna. Turner si lasciò invece affascinare dal profilo della città vista dalle acque circostanti. Le sue ultime immagini la mostrano come una silhouette scintillante, sfiorata dalla luce dell’alba o del tramonto. Alcune rappresentano arrivi o partenze: l’osservatore ha l’impressione di avvicinarsi a Venezia pieno di aspettative, oppure di lasciarla, guardandola svanire in lontananza. Le opere qui esposte furono prodotte nell’arco degli ultimi dieci anni della vita di Turner. I pareri della critica al loro riguardo furono discordi. Molti, pur incantati dal “gioco leggiadro e fantastico di colori”, rimasero sconcertati dalla difficoltà di distinguere forme e masse. Alla morte di Turner, parecchie di queste opere restarono invendute nella sua galleria, mentre è possibile oggi coglierne la straordinaria modernità e l’infaticabile e intensa ricerca espressiva.