Nell’anno 982, per la prima volta in un documento veneziano (un atto di donazione ai benedettini della Chiesa di San Giorgio Maggiore), è testimoniata l’esistenza di un vetraio il suo nome era Domenico. Questo antico manoscritto è considerato l’atto di nascita dell’attività vetraria a Venezia.
Inoltrandosi nel Tardo Medioevo, le notizie sulla presenza di una simile produzione in città si fanno sempre più numerose e danno l’immagine di un’industria fiorente, che era gradualmente diventata tra le più importanti della Serenissima. Il centro nevralgico dell’attività era allora concentrato a Murano, dove le fornaci del vetro avevano cominciato a stabilirsi nella seconda metà del XIII secolo. Infatti il Maggior Consiglio, nel 1291, aveva definitivamente sancito il trasferimento dei forni al di fuori del nucleo urbano cittadino, per evitare i rischi di incendio. Da quell’epoca il vetro è stato per Murano una presenza costante che continua ancor oggi.
I vetrai nella Venezia medievale venivano chiamati fiolari, nel senso di fabbricanti di “fiole”, cioè di bottiglie: questi artigiani erano quindi identificati dal genere di oggetti realizzati, e certo la bottiglia costituiva uno dei principali prodotti delle vetrerie muranesi. La cosiddetta inghistera o angastaria (dal greco gastra = pancia e aggoz = vaso), con lungo collo e dal corpo espanso, era allora considerata la “bottiglia” per antonomasia. I vari modelli si differenziavano per l’andamento della bocca, per la conformazione del corpo e per il tipo di base; nel caso fossero decorati, avevano dei semplici motivi a spirale o a costolature verticali ottenute a stampo. Anche i bicchieri erano prodotti in gran numero: i più semplici erano di forma troncoconica o cilindrica, apodi, privi di ornamento o con piccoli motivi geometrici, a rilievo molto basso (talvolta pressoché impercettibili, se non osservati in controluce); a volte erano ornati da un filamento blu intorno all’orlo. Vi erano però anche modelli più elaborati, come gli originali bicchieri decorati da gocce di piccole o grandi dimensioni. Questi ultimi, in particolare – come risulta dai documenti veneziani del XV secolo – erano destinati in buona parte al mercato tedesco, dove simili manufatti avevano una larga diffusione.
Nel periodo tardo-medievale, quindi, una parte importante della produzione era costituita da oggetti da mensa: non a caso colli e basi di bottiglie e frammenti di bicchieri costituiscono i reperti vitrei più numerosi recuperati nell’ambito della laguna. Calici e ciotole rientravano invece tra gli oggetti più pregiati, e, di conseguenza, sono più rari nei rinvenimenti archeologici.
Si producevano inoltre in numerosi esemplari anche i rui, i famosi vetri circolari per finestre, che ancor oggi si possono osservare nei palazzi di Venezia. Per l’illuminazione si realizzavano invece lampade ad olio, che venivano appese al soffitto, in uno o più esemplari inseriti in appositi sostegni metallici. Vi erano diverse tipologie, ma in particolare la “lampada islamica”, ad imitazione di modelli orientali. Ai vetri muranesi spettava anche produrre, su incarico della Serenissima, pesi da bilancia e bottiglie da taverna (utilizzate come misure) che venivano bollati uno per uno con il simbolo della città, il Leone Marciano. Un uso del tutto particolare avevano anche gli elementi per telaio tessile, una sorta di cuscinetti che, essendo in vetro, garantivano una maggior resistenza all’usura rispetto ad altri materiali. Lo spettro produttivo e qualitativo dell’attività vetraria muranese nel tardo Medioevo era quindi molto ampio e diversificato.
Per il ciclo produttivo si adoperavano a Murano due tipi di forno. Il primo a due livelli, era chiamato “calchera“: nella zona inferiore era immesso il combustibile, che fino al XIX secolo era costituito da legna, mentre quella superiore serviva per la fusione iniziale di sabbie o ciottoli macinati, a cui veniva aggiunto il fondente per agevolare la fusione. Da questa prima fase si otteneva la cosiddetta fritta, una massa solida che veniva frantumata per essere poi introdotta in un altro forno, dove il ciclo produttivo veniva portato a termine. La forma di questa fornace era a pianta circolare a tre livelli sovrapposti. Nella parte più bassa era posto il combustibile, che riscaldava il livello mediano, dove fondeva definitivamente il vetro. Qui infatti si trovavano specifici contenitori, chiamati crogioli, in cui veniva immessa la fritta ed il rottame. Nel terzo piano venivano collocati i prodotti finiti per essere portati a temperatura ambiente in modo progressivo, evitando così le rotture dovute ad un brusco raffreddamento. Il processo che portava alla produzione di un oggetto in vetro era lungo e complesso, ma le antiche vetrerie muranesi seppero raggiungere grandi risultati, che, grazie al contributo della ricerca archeologica, possiamo ammirare ancor oggi nella prima sezione della mostra.
La più grande rivoluzione nella storia del vetro, ovvero la scoperta della soffiatura è generalmente fatta iniziare attorno alla metà del I secolo a.C., in qualche luogo della costa del Mediterraneo orientale. Difficile è stabilire come si sia arrivati ad un procedimento di questo tipo, sequenza che è difficile ricostruire per il silenzio delle fonti e la scarsità di dati archeologici relativi alla più antica soffiatura. Nuova luce su questo problema è stata portata dagli scavi nel quartiere ebraico dell’antica Gerusalemme, i cui resti vitrei sembrano essere i più antichi conosciuti come prodotto di soffiatura, essendo databili alla prima metà del I secolo a.C.. Il procedimento della soffiatura tramite tubi è stato però considerato uno stadio preliminare all’invenzione della canna da soffio o comunque un metodo contemporaneo e alternativo, in quanto l’artigiano, forse per aumentare l’insufflazione, inseriva una canna di metallo nel tubo di vetro dove era applicata la massa vitrea pronta per essere plasmata così da raggiungere una precisa identificazione estetica.
Tra i prodotti soffiati a mano libera delle collezioni, sia quella Correr che Manca, del Museo del Vetro di Murano, presentano particolari caratteristiche di lavorazione e/o decorazione che si ritiene utile evidenziare. Trattasi nello specifico di esemplari dove è presente una decorazione ottenuta con l’applicazione di filo di vetro a caldo, spesso a rilievo. Questi oggetti presentano, infatti, uno o più avvolgimenti spiraliformi di filamenti vitrei.