Incerte le date di nascita e di morte del celebrato autore di VENETIE MD. L’ipotesi più accreditata ne attesta la nascita attorno alla metà del XV secolo: sicuramente è documentata la sua cittadinanza veneta, come appare dalle citazioni dei documenti del Dürer e del Michiel. Veneta anche la sua formazione artistica, che risente della tradizione della pittura e della grafica veneziana, a metà strada tra la concezione pittorica del Vivarini e quella di Mantegna, nelle incisioni. Fu proprio la sua impostazione, così prossima al Rinascimento veneto, a fare di lui un autore molto amato nelle Corti germaniche, che, all’inizio del Cinquecento, erano particolarmente attratte dall’arte italiana. Le continue frequentazioni nelle terre del Nord lasciarono forte traccia nello stile maturo ed eclettico di Jacopo de’ Barbari, in particolare per ciò che concerne la sensibilità del disegno, che prevale sul colore, e l’importanza dei paesaggi, tipica della scuola nordica. Difficile trovare tracce documentate delle opere giovanili dell’artista e dei suoi primi viaggi nell’Europa settentrionale: probabilmente vi conobbe Dürer, che rivide a Venezia successivamente. Certo è che la committenza di VENETIE MD gli venne proprio, nel 1497, da un mercante tedesco, Anton Kolb, che aveva potuto conoscere il mestiere di Jacopo a Norimberga e che, dopo il 1500, scelse la Germania come seconda patria: elesse come sua residenza Norimberga, frequentò la corte imperiale di Augusta dove ricevette commissioni dallo stesso Massimiliano, e ancora Weimar, Wittenberg, Heidelberg e Francoforte sull’Oder, prima di passare nelle Fiandre, tra Anversa e Bruxelles, nominato pittore valletto di camera dell’arciduchessa Margherita d’Austria, reggente d’Olanda. Colpito dagli acciacchi della vecchiaia, Jacopo de’ Barbari andò limitando progressivamente i suoi viaggi, sino al raggiungimento della pensione, ottenuta da Margherita, nel 1512. Jacopo, però, non riuscì a godere a lungo del vitalizio: nel 1516, nell’inventario delle opere dell’arciduchessa, è definito infatti “fu maestro Jacopo”. La prima opera datata è la xilografia della Veduta prospettica di Venezia; sempre del 1500 è il Ritratto di Sant’Osvaldo, eseguito per Massimiliano, in cui compare la sua firma, accompagnata dal caduceo, marchio comune alla sua produzione incisoria. Proprio per l’imperatore assunse il ruolo di ritrattista e miniatore. Vanno segnalate inoltre alcune Sacre Famiglie di impianto vivarinesco, come quella, con San Giovanni, custodita al Louvre. Tra gli altri dipinti del periodo: Cristo che saluta la Madre (Venezia, Ca’ d’Oro), Il vecchio amoroso della giovane (Filadelfia), La Natura morta appesa al muro (Monaco di Baviera), S. Barbara e S. Caterina (Dresda). Resta aperto il problema attributivo legato al ritratto di Fra’ Luca Pacioli con un giovane (Napoli, Capodimonte), datato 1495, pur firmato “Iaco. Bar. vigennis”.
VENETIE MD. Vero e proprio unicum nella storia della rappresentazione della città, la veduta è stata lungamente studiata sia per arrivare a stabilirne la paternità ideativa ed esecutiva, sia per cercare di individuare la tecnica attraverso la quale è stato possibile eseguire lo straordinario rilievo e disegno. Tradizionalmente attribuita ad Albrecht Dürer (come risulta già dall’inventario dei beni del cardinale Francesco Maria del Monte del 1627) la veduta venne ritenuta piuttosto opera di Jacopo de’ Barberi nel secolo scorso e da allora questa paternità è stata quasi concordemente accettata sebbene non esistano prove documentarie che confortino tale ipotesi. L’attribuzione infatti si basa soprattutto su elementi stilistici (le affinità dell’opera grafica conosciuta di de’ Barberi e le raffigurazioni dei venti, la presenza del caduceo impugnato da Mercurio che, oltre a essere l’attributo del dio, è anche l’emblema spesso introdotto, come firma, in molte opere dell’ artista) e sulla ricostruzione di alcuni rapporti intercorsi tra il de’ Barbari e l’editore della veduta, Anton Kolb. E’ indubbio che le poche notizie che si hanno su Jacopo, che è attivo inizialmente a Venezia ma poi viene chiamato alla corte dell’imperatore Massimiliano I° d’Asburgo, suffragano l’ipotesi di uno stretto contatto tra l’artista e l’ambiente artistico d’oltralpe, cui fa parte anche il tedesco Anton Kolb, estensore nell’ottobre 1500 a Venezia della supplica per ottenere l’esenzione del pagamento del dazio di esportazione degli esemplari della veduta e l’esclusiva di pubblicazione; concessione, quest’ultima, che sappiamo ottenne per quattro anni. Sicuramente Jacopo, considerato dai contemporanei abile incisore, ma anche conoscitore delle più recenti teorie sulla prospettiva, è l’artista che più di ogni altro può aver realizzato l’impresa che lo vide coinvolto per almeno tre anni al fine di ottenere lo straordinario risultato che per quantità di informazioni introdotte, per formato e per abilità rappresentativa non ha eguali nella storia della raffigurazione della città rinascimentale. I modi attraverso i quali sia stato possibile compiere un’opera di tal qualità e perizia hanno diviso e continuano a dividere gli studiosi per i quali fondamentalmente due sono le ipotesi possibili: un’opera d’arte realizzata grazie a una messe di disegni prospettici eseguiti da punti sopraelevati poi assemblati insieme e aggiustati con delle distorsioni prospettiche in un unico insieme (Schultz, 1970; Bellavitis, 1976) o, piuttosto, un lavoro strettamente cartografico, ottenuto partendo da un rilievo planimetrico eseguito con la collaborazione di tecnici esperti sul quale sia stato realizzato l’alzato, riportato attraverso le riprese effettuate dall’alto dei campanili (Mazzariol-Pignatti, 1962), o da una serie di rilevamenti compiuti a distanza utilizzando il quadrato geometrico (Falchetta, 1991). Nel primo caso l’attribuzione dell’esecuzione del disegno complessivo è ricondotta alla sola opera di de’ Barberi, nel secondo il ruolo dell’artista risulta quello di un coordinatore, ideatore delle parti decorative della veduta. Poiché, come più volte è stato ribadito, non esistono notizie documentarie a suffragio di una possibile committenza pubblica e non si conoscono riferimenti all’opera di una squadra di tecnici, rilevatori e disegnatori che abbiano compiuto il lavoro e, tenuto conto della fama che lo stesso de’ Barbari aveva presso i suoi contemporanei pur non avendo compiuto altre opere insigni e tali da poterla confortare, si potrebbe supporre che l’ideazione della veduta sia da ricondurre alle capacità dell’artista e alla sua iniziativa sostenute, per ben tre anni, dal Kolb che materialmente la rese possibile e dal cenacolo di umanisti e di artisti che gravitavano a Venezia in quegli anni e che misero Jacopo nelle condizioni di compiere un’opera simile. Venezia, ritratta da un punto d’osservazione molto alto, “a volo d’uccello”, è ripresa da sud con in primo piano una parte della Giudecca e l’isola di San Giorgio. Sullo sfondo, oltre alle isole della laguna settentrionale, il profilo delle Prealpi con SERAVAL a indicare il passo che conduceva al nord. Dal tessuto urbano emergono le architetture più fortemente rappresentative: l’area marciana centro del poter politico della città, le basiliche dei Frari e dei SS. Giovanni e Paolo, le facciate dei palazzi in Canal Grande, l’Arsenale. Pur nella deformazione prospettica che dilata la parte orientale e comprime fortemente le zone a ovest della città, la meticolosa riproduzione di numerosi dettagli architettonici ne fa un documento di estrema rilevanza per la conoscenza dell’impianto urbano e l’unica testimonianza visiva della Venezia cinquecentesca nella sua interezza. La presenza inoltre di mercurio e di Nettuno, la grande quantità di navi in bacino e il brulicare di barche in Canal Grande ne sottolineano l’operosità e la potenza commerciale e marittima, caratteristiche queste che potrebbero far pensare a un intento celebrativo della veduta.