Venezia. Figlio di Lorenzo Bellotto e di Fiorenza Canal – sorella di Antonio – nasce a Venezia nel 1722. Nel ’38 è già iscritto alla fraglia dei pittori veneziani: è infatti entrato giovanissimo nell’atelier dello zio, da cui riprende la formula vedutistica, imparandone procedimenti e metodi. I dipinti delle prime tre sezioni della mostra ci indicano passo dopo passo il percorso di Bernardo verso l’autonomia espressiva. Ecco che allora il Canal Grande da Santa Croce ora a Londra, di molto precedente al 1740, costituisce un rarissimo esempio della tecnica e dello stile del primo periodo di apprendistato nell’atelier di Canaletto. Ma nonostante la qualità elementare del linguaggio, vi si riconoscono già alcuni tratti distintivi di Bellotto: la luminosità fredda e argentea, l’incisività della descrizione, la geometrica esattezza con cui riproduce nell’acqua il riflesso della chiesa. Il cammino prosegue nei due dipinti provenienti da Castle Howard in cui Bernardo riprende la composizione di vedute realizzate dallo zio, modificandone però prospettiva, luce, volumi, e figure. La ricerca e la tecnica si affinano nelle opere successive: se le composizioni delle prime prove seguono, come abbiamo visto, idee canalettiane oppure le anticipano nell’ambito del lavoro comune dell’atelier, ci sono casi, come quello del Rio dei Mendicanti, in cui egli effettua riprese del tutto originali. Bellotto affronta qui il lavoro dando importanza al palazzo Dandolo sulla riva sinistra pur descrivendo minutamente la facciata della scuola di San Marco. Le luci calde sulla facciata rinascimentale e sul palazzo si contrappongono a quelle gelide delle case sul rio e un’incredibile gamma di colori descrive l’acqua, le case nell’ombra, il palazzo. La padronanza dei mezzi tecnici e la libertà nell’usarli fanno pensare a un allievo ormai maturo: siamo forse all’inizio del 41, alla vigilia del viaggio a Roma, come del resto la Chiesa dei Miracoli ora a Hannover, in cui egli trasforma la realtà in modo radicale: allontana le case , allarga il canale, fino a farlo sboccare in laguna, vi colloca sul fondo una chiesa simile a quella di San Giorgio, immagina campanili, semplifica le decorazioni della chiesa rinascimentale attribuendo invece un ruolo speciale e un impegno deciso – poco canalettiano – nella descrizione dell’abside di Santa Maria Nova , del suo altarino e dell’intonaco scolorito. I vedutisti frequentano assiduamente Dolo, capolinea del Burchiello e luogo di villeggiatura, di turismo, di agricoltura , di traffici commerciali, ma l’interpretazione che ne dà Bellotto è del tutto personale: accentua aspetti non idilliaci, dà ampio spazio al cielo da un lato e dall’altro, in primo piano, ai tetti delle casupole della chiusa, all’atmosfera drammatica di cui partecipano anche le figure, isolate in una sorta di tristezza esistenziale : la maturità espressiva fa pensare, per questo dipinto, ad una datazione intorno al ’42, dopo il viaggio a Roma.
In Toscana e a Roma. Nel ’42, dunque, Bellotto lascia Venezia per recarsi a Lucca, Firenze ,Roma. Sarà un viaggio decisivo nel percorso verso l’autonomia compositiva. Nei primi lavori fiorentini – ora al Museo Nazionale di Budapest, raggiunge la massima espressione della sua poetica giovanile e crea esempi unici del vedutismo veneziano posto al servizio di altre città. Nella Piazza della Signoria alla virtuosistica descrizione della facciata di Palazzo Vecchio, si aggiunge quella del teatrino in primo piano, da cui emerge il senso di fascino e di mistero esercitato sugli astanti; nella veduta dell’Arno il fiume viene ripreso come uno dei canali veneziani, ma la prospettiva aerea sulle case lontane e le colline all’orizzonte ’è un elemento stilistico nuovo. Le due riprese dell’Arno del Fitzwilliam Museum dipinte con grande sicurezza, sono successive: in esse la descrizione dell’acqua si discosta dal modello veneziano e descrive efficacemente lo scorrere del fiume, mentre le figure si fanno più solide e convincenti; l’autonomia da Canaletto prende forma nella scelta dei colori e nei marcati contrasti mentre nella veduta di Lucca, dall’intonazione argentea, e dallo stile raffinatissimo, il legame con le vedute veneziane è ancora forte, soprattutto nel cielo dalle nuvole a rilievo. Il viaggio prosegue verso Roma: siamo sempre nel ’42 ma quasi certamente dipinge le vedute di questa città solo al ritorno a Venezia, tra la fine dell’anno e il’43, sulla scorta dei disegni suoi, di quelli dello zio e sulla massa di stampe topografiche pubblicate tra il XVI e il XVIII secolo a Roma e che certamente egli ha modo di conoscere. Nella veduta “moderna” qui esposta Bellotto sperimenta disinvolto un punto di vista dalla strada, anziché dal fiume (che già Van Vittel e Piranesi avevano raffigurato) e manipola elementi topografici e architettonici. I due Capricci appartengono anch’essi ad un momento successivo al viaggio a Roma: qui egli esercita la graduale conquista di mezzi espressivi e tecnici nuovi: le pennellate larghe, del terreno, il disegno morbido delle decorazioni delle architetture, le infinite sfumature dei colori, il cielo percorso da nubi oblique, l’acqua segnata di varie sfumature di verde.
Lombardia, Torino e Verona. Ormai è a Venezia solo saltuariamente. Nel ’44 lavora per l’illuminata aristocrazia intellettuale lombarda. Descrive, tra l’altro, le cittadine gemelle di Vaprio e Canonica sull’Adda, incantevoli luoghi di villeggiatura e due vedute di Gazzada (n.31), vicino a Varese. Queste escursioni nella campagna dell’Italia settentrionale risvegliano in lui un’affezione profonda per la natura, che d’ora in poi lo accompagnerà nel suo percorso artistico. Nella loro raffinata modulazione di luci e ombre e nella tavolozza di verdi, beige, crema, gialli, le vedute della Gazzada differenziano ulteriormente il suo stile da quello dello zio e rivelano una fase nuova della poetica di Bellotto, segnata dall’interesse affascinato e moderno per il mondo rurale, il paesaggio, le persone che lo popolano e le loro attività. 1745: Bernardo è pronto per la prima commissione reale e dipinge, per Carlo Emanuele III di Savoia, due vedute di Torino, in grande formato; quella qui esposta è firmata a grandi lettere anche con il soprannome “Canaletto”. Le vedute di Torino concludono la prima fase artistica di Bellotto ed anticipano i grandi lavori di Dresda, nella combinazione di vastità panoramica e minuziosità topografica. Questo percorso è altresì suggellato dalle vedute di Verona, liricamente vicine a quelle torinesi e infine dai capricci ora alla Galleria Nazionale di Parma, in cui l’artista presenta uno stile ormai del tutto autonomo, una tecnica altissima e un personale modo di assemblare ricordi, appunti, elementi di realtà.
Dresda: alla corte di Augusto III. Nel ’47, mentre Canaletto è in Inghilterra, Bellotto lascia per sempre l’Italia e si trasferisce a Dresda, alla corte di Augusto III, Elettore di Sassonia e re di Polonia. Nella sua prima veduta della città, ripresa dalla riva destra dell’Elba, egli sembra voler sottolineate questo momento importantissimo della sua vita con l’estesa firma in primo piano a destra e con la raffigurazione di se stesso, intento a disegnare. Nel ’48 è nominato pittore di corte. Seguono dieci anni di intensa attività che culmina con le 14 grandi vedute di Dresda e le 11 di Pirna, capolavori del vedutismo settecentesco e altissimo raggiungimento dell’arte di Bernardo. Queste opere vengono replicate anche per il primo ministro, il conte di Brühl: diverse per dimensioni, toni e colori, la serie reale e quella per Brühl, in cui l’acqua è più verde, il cielo più azzurro e i tetti più rossi . Verranno acquistate, alla morte di questi, da Caterina II di Russia e si trovano tuttora in gran parte a San Pietroburgo, all’Ermitage. Delle due serie la mostra presenta una ricca selezione: Dresda è ripresa anche dalla riva opposta del fiume, la chiesa a destra col campanile in costruzione, il prezioso Palazzo giapponese all’estrema sinistra, ma la veduta urbana, nell’insieme, occupa solo una sottile striscia del quadro, il cui primo piano è affollato di figure e situazioni rurali: dalla mucca ai contadini, dai pescatori al bucato steso ad asciugare. Seguono, nella versione realizzata per il conte di Brühl, una raffigurazione delle vecchie fortificazioni, caratterizzata da originali soluzioni luministiche e – finalmente, una sontuosa rappresentazione della capitale sassone, col corteo regale al centro del dipinto e la carrozza diretta verso la sfarzosa pinacoteca regia. Sullo sfondo, la cupola della Frauenkirche, mentre l’alternarsi di luci e ombre, zone chiare e scure scandisce e organizza lo spazio. Ma Bernardo riprende anche il cuore borghese della capitale, con i suoi antichi edifici: a destra il municipio con la torretta, a sinistra la fontana e sul fondo il passaggio verso la Kreuzkirche. E’ la luce del pomeriggio avanzato a rendere così nettamente percepibili le case, i loro fregi e rilievi architettonici, mentre la piazza brulica di vita. La stessa piazza è ripresa anche dalla parte opposta in un affollato giorno di mercato: minuscoli colpetti di pennello descrivono la folla come un insieme compatto, mentre l’ imponente Kreuzkirche, così diversa dalle chiese italiane, affascina il pittore che ne documenta con precisione l’architettura in un dipinto di inusuale formato quasi quadrato. Questa chiesa verrà distrutta da un bombardamento prussiano nel 1760 e Bellotto ne ritrarrà le rovine in un famosissimo, emblematico dipinto. Non mancano le raffigurazioni anche di zone periferiche della città, la Citta Nuova: un’altra piazza del mercato, ma questa volta è uno spazio largo, soleggiato e non scandito da ampie ombre, in cui le figure si inseriscono come personaggi veri ed espressivi.
Pirna. Bellotto è a Dresda ormai da sei anni e l’ha raffigurata in molte vedute. Rivolge ora la sua attenzione, con l’appoggio del re, alla cittadina di Pirna, a diciassette chilometri dalla capitale. La Piazza del Mercato è tra i più alti raggiungimenti dell’arte di Bernardo: il fitto tessuto delle architetture medievali e moderne lo affascina e le possibilità prospettiche offerte dal gioco dei volumi consentono una descrizione di straordinario equilibrio e fascino. Le punte dei campanili conducono lo sguardo in profondità, fino all’alta fortezza di Sonnenstein sullo sfondo. Ma riprendere Pirna da tutti i punti di osservazione possibili è un gioco intrigante: eccola quindi dalla riva destra dell’Elba, dominata dall’imponente fortezza di Sonnenstein; la piazza del mercato corrisponde allo spazio, delimitato, alla destra del quadro, dal campanile della chiesa, non lontano dal quale si intravvede anche la graziosa torre del municipio. In primo piano, le figure descrivono l’aspetto bucolico dei dintorni mentre un traghetto percorre l’acqua appena increspata del fiume. Ed eccoci ora ad osservare Pirna proprio dalla fortezza, descritta oggettivamente, nella sua rude bellezza, secondo canoni ben lontani dall’estetica rococò. La vita tranquilla che vi si svolge intorno sottolinea, tra l’altro, quanto inaspettato sia l’incombente pericolo della guerra dei sette anni. Il punto di osservazione è ora arretrato e comprende la fortezza, la città sottostante per poi spaziare lungo la valle dell’Elba fino a intravvedere da lontano le torri di Dresda. La composizione è ardita: sotto l’ampio cielo si compie la raffigurazione differenziata dei luoghi: da un alto i tetti e i campi lungo l’Elba, dall’altro una distesa di verde intenso, animata da una mandria, ben rappresentata secondo modelli pittorici olandesi. Il pastore ci accompagna con lo sguardo verso l’immensa apertura della valle verso Dresda. Ed eccoci infine di nuovo dentro alla città, ma in una scena di periferia. La fortezza è alta di fronte a noi, il campanile della chiesa e la torre del municipio si intravvedono a sinistra, le figure servono a rendere leggibile la profondità spaziale della larga via. Dell’opera è presentata, in mostra, anche l’edizione per il conte di Brühl: trovate le differenze!
Vienna e Monaco. Tra il dicembre del ’58 e il gennaio del ‘59 , dopo lo scoppio della guerra dei sette anni, Bellotto giunge a Vienna. Qui lavorerà per il conte di Kaunitz e il principe di Liechtenstein. Nei dipinti realizzati per loro si modifica la struttura compositiva e appaiono in primo piano dei ritratti. Tredici sue opere verranno inoltre acquistate da Maria Teresa. Tra esse, alcune sono dedicate alla rappresentazione delle residenze imperiali. Si tratta di un genere nuovo per Bellotto che nel dipinto qui esposto pare interpretarlo quasi in chiave di confronto tra mondo aristocratico e mondo rurale. Agli inizi del 1761 l’artista lascia Vienna per Monaco: ha in tasca una lettera di raccomandazione di Maria Teresa per la cugina Maria Antonia, ospite a Monaco del fratello Massimiliano III, elettore di Baviera. Per lui realizzerà tre vedute della città e della residenza di Nymphenburg. Tra esse la ripresa dal parco è un capolavoro di costruzione prospettica e segna una svolta nel percorso artistico di Bernardo, che si pone qui da un punto di vista sopraelevato, immaginario,“impossibile”.
Il ritorno a Dresda
Le allegorie. Al ritorno a Dresda, alla fine del ’61, trova la città provata dalla guerra e dalla crisi economica. La sua stessa casa è bruciata, quasi tutte le lastre delle sue incisioni perdute. Inizia un periodo difficile e a questa fase appartengono le spigolose figure delle due Allegorie, realizzate su commissione nell’ambito di un progetto politico-iconografico legato alle complesse vicende del momento.
I capricci e le vedute di fantasia. Nel 1763 torna la pace, ma nel giro di poco tempo muoiono Federico Augusto e il conte di Brühl. Perde il posto di pittore di corte e, per vivere, diventa “membro aggiunto” di prospettiva – nemmeno insegnante – nella neonata Accademia di Belle Arti. Da questa situazione nascono i capricci, le vedute ideate e matura la profonda crisi umana e artistica di Bellotto, che progressivamente sbocca in una precisione stregata, analitica, classicheggiante, ben rappresentata dai due Capricci qui esposti, cui va aggiunto l’autoritratto che abbiamo incontrato in apertura. Dal punto di vista compositivo, le suggestioni reali si trasformano e si modificano, ma il linguaggio appare sempre leggibile e realistico, come nella composizione che evoca la scala dei Giganti di Palazzo Ducale con i Dioscuri al posto di Marte e Nettuno e le forme architettoniche sfarzosamente rinascimentali. Segno della grave crisi umana e professionale di Bellotto è inoltre la tensione che appare nella Cacciata dei mercanti dal tempio. Ancora, non mancano nei capricci grandi figure attinte dalla vita di tutti i giorni: mendicanti, servitori , una varia umanità ben caratterizzata nei costumi e nella fisionomia.
Le vedute
Nel 1767, Bellotto espone all’Accademia di belle Arti di Dresda una Veduta della valle dell’Elba verso Pillnitz (n.86). Per lungo tempo creduto disperso, questo dipinto è stato recentemente identificato e riconosciuto come un importante capolavoro: mostra infatti tratti stilistici tipici del periodo di Varsavia, in particolare delle opere del castello Wilanów, e si colloca quindi alle soglie del nuovo periodo creativo dell’artista in Polonia.
Varsavia. Nel ’67 lascia Dresda diretto a Pietroburgo, ove non giungerà. Lo trattiene infatti Stanislao Augusto Poniatowski, che – è il 1768 – lo nomina pittore di corte. A Varsavia dunque Bernardo rimarrà fino alla fine, eseguendo la celebre serie di 26 vedute della città, oltre a dipinti di soggetto storico e d allegorico. Poniatowski, sovrano illuminato e liberale, coinvolge Bellotto nei suoi grandi progetti culturali e Bernardo è stregato da Varsavia, dal suo fascino, dalle sue contraddizioni, la bellezza delle chiese barocche, e dei palazzi, la miseria delle baracche dei poveri, l’immensità delle pianure, l’incredibile varietà dell’umanità che la popola. Questa impostazione è presente fin dalla prima delle opere varsaviensi, ancora in qualche modo vicina allo spirito e ai modi di Dresda. Costituisce un capolavoro la Veduta col pittore e suo figlio del 1770. In primo piano a sinistra, sono i ritratti: Bellotto, il figlio Lorenzo – che morrà in quello stesso anno – in piedi, assieme a un altro giovane, il re seduto di fronte al pittore; la città, di là dal fiume, è data da un insieme studiato e composito di vari punti di vista. Diversa e raffinatissima la Veduta dei prati di Wilanów di stupefacente modernità. Nella Via Modova del 1777 spicca l’accurata descrizione delle figure: dall’elegante carrozza, ai due ebrei che conversano in primo piano, ai venditori di incisioni sull’angolo destro. E sono proprio le figure ad assumere man mano un ruolo sempre più importante: la rara raffigurazione del Palazzo della Repubblica diventa lo sfondo per la descrizione dettagliata della solenne processione religiosa che si svolge lungo la via in onore della Madonna delle Grazie. Ma particolarmente negli ultimi due dipinti emerge la caratteristica dell’ultima poetica di Bellotto, quella straordinaria capacità di cogliere l’atmosfera dei luoghi, la percezione profonda e vera del paese, le molteplici figure umane che lo popolano, il loro vivere e muoversi e affannarsi. il dramma stesso della condizione umana cui si affianca il senso della propria imminente fine.