In questo periodo il predominio che Venezia aveva esercitato per secoli a livello mondiale, cominciò a diminuire, per il favore di cui godevano in Europa e in America, due tipi di vetro, quello al piombo e quello al potassio. Col primo si otteneva un materiale più pesante di quello veneziano, ma di una brillantezza e morbidezza tali da renderlo più adatto all’intaglio; col secondo un materiale più duro e molto luminoso. Con il trattato di Utrecht (1713), che ratificò il passaggio all’Impero Asburgico dei domini spagnoli nei Paesi Bassi, si aprirono i confini alla produzione boema e tedesca. Questo avvenimento politico incise sulla crisi del mercato interno di Venezia, tanto che il Senato con un decreto proibì la produzione, la vendita e il transito in tutti i territori della Repubblica dei vetri provenienti dall’estero, tuttavia i vetri boemi continuarono ad essere importati di contrabbando. Oltre a questi problemi, una grave crisi politica investì la Repubblica, che cadde nel 1797, sotto l’offensiva napoleonica e causò una paralisi dell’industria vetraria, che vedrà una ripresa solo intorno alla metà dell’Ottocento.
Nel corso del XIX secolo non ci furono grossi cambiamenti per quel che riguarda i metodi di produzione e gli utensili e nemmeno l’avvento della meccanizzazione ebbe un grosso impatto sul vetro industriale. L’industria vetraria da impresa precaria, e per certi versi ancora misteriosa, andò però assumendo un carattere più scientifico. Nella progettazione delle fornaci si studiarono degli accorgimenti per risparmiare combustibile, mantenere temperature più elevate e un ambiente più puro che limitasse le contaminazioni del vetro e nelle principali vetrerie cominciarono a lavorare i chimici. Grazie a questi progressi scientifici e tecnici, i vetrai riuscirono a dedicare più tempo alla sperimentazione e alla realizzazione delle infinite gamme di colori, forme tecniche e decorazioni che caratterizzano il vetro del XIX secolo. Nei primi venticinque anni in Europa prevalse la moda del “vetro intagliato”. Con l’adozione del vapore come fonte energetica, l’intagliatore riuscì a controllare i giri della sua ruota con una maggiore precisione e a realizzare in modo più semplice l’intaglio profondo a diamante che consentiva l’elaborazione di motivi molto elaborati. Solo i progressi compiuti nel campo del vetro colorato in Boemia e in Francia riuscirono a insidiare la popolarità del vetro intagliato. Dopo l’Esposizione Internazionale del 1851, in Inghilterra si sviluppò un tipo di vetro inciso originale ed elegante, ispirato all’antichità classica e al Rinascimento e per il quale era usata anche l’incisione all’acido. Fu così che l’Inghilterra per vent’anni spiccò il salto al più alto livello della produzione. Anche Venezia nel frattempo, sotto la guida di Antonio Salviati, tornò in auge, con la rinascita dell’arte della smaltatura. Il vetro colorato tornò di moda grazie al rinnovato interesse per lo stile gotico nell’arte e nell’architettura, e alla generale idealizzazione del medioevo ad opera dei Preraffaelliti. Intorno al 1870, si giunse alla fabbricazione di vetro di migliore qualità e a una vasta gamma di colorazioni. L’invenzione della pressa a formare, realizzata negli Stati Uniti d’America nel 1820, che portò questo paese ad avere un ruolo determinante negli anni successivi, segnò l’inizio della produzione di massa. I vetrai, grazie al rapido susseguirsi di innovazioni e allo sviluppo delle comunicazioni, produssero oggetti con una gran varietà di colori e decorazioni.