L’esposizione, allestita al secondo piano del Museo Correr, si articola in otto sezioni tematiche che accompagnano il visitatore nell’evoluzione dell’arte del disegno francese lungo tre secoli – dal XVII al XIX – attraverso un nucleo di 110 raffinatissimi fogli realizzati con le più diverse tecniche: a matita, a china, ad acquarello e altro.
I francesi in Italia
Per tutto il XVII secolo, l’Italia, e in particolare Roma, hanno attirato gli artisti francesi che, seguendo l’esempio di François Stella alla fine degli anni ottanta del Cinquecento, non esitavano a compiere il lungo viaggio al di là delle Alpi.
L’esempio più celebre resta quello di Nicolas Poussin, il quale, se si esclude una breve fase parigina (1640-1642), molto produttiva ma che lo lasciò profondamente insoddisfatto, svolse quasi tutta la sua carriera di pittore a Roma.
Lo stesso vale per il suo amico Claude Gellée detto Il Lorenese, per il quale la campagna romana fu la fonte di ispirazione di una vita.
Per quanto più sporadiche, le relazioni con l’Italia di artisti come Callot, che soggiornò per un periodo a Firenze alla corte dei Medici, o François Perrier, che per ben due volte trascorse diversi anni a Roma, hanno segnato per sempre l’arte di questi disegnatori.
Centro e periferia nel Secolo d’oro
Generalmente gli artisti francesi influenzati dal ‘caravaggismo’ non disegnarono, ad eccezione di Simon Vouet, il cui stile mutò dopo il definitivo ritorno in Francia nel 1627, data a partire dalla quale egli intraprese una grande carriera come decoratore e pittore di storia.
Se talvolta la sua opera può essere ancora qualificata come barocca, essa presenta allo stesso tempo dei caratteri di eleganza e delle ricerche formali che preparano alla venuta del classicismo. Una forma epurata di quest’ultimo si trova in Eustache Le Sueur, artista di grande delicatezza marcato dalla lezione di Raffaello, così come in Laurent de La Hyre, il cui stile particolarmente raffinato e sereno ha potuto ricevere la qualifica di “attico”, in riferimento alla purezza dell’arte greca antica.
Nella provincia francese si svilupparono diversi centri artistici, caratterizzati da una maggiore libertà e spesso da un’originalità sorprendente, come testimoniano le invenzioni di un Brébiette, originario di Orléans, o del pittore di storia lionese Thomas Blanchet. Ad Avignone, Nicolas Mignard sviluppò invece una maniera più castigata, mentre alla fine del secolo si assistette all’emergere dell’affascinante e audace stile dei tolosani Antoine Rivalz e Raymond La Fage.
Classicismo
Il trionfo dello spirito classico si impone durante il regno centralizzato di Luigi XIV, la cui produzione artistica tende prima di tutto a celebrare la gloria del sovrano.
La creazione dell’ ‘Académie Royale de peinture et de sculpture’ nel 1648 permette di indirizzare a poco a poco la creazione artistica in questo senso.
Charles Le Brun, primo pittore del re, sarà fino al 1690 il perfetto rappresentante di questa corrente, lavorando in particolare nella reggia di Versailles, ove concepì gran parte dei decori. Il suo rivale Pierre Mignard, e i suoi successori Antoine Coypel e Charles de La Fosse, proseguiranno la sua opera di decoratore, ma sempre più verso un trionfo del colore sulla linea pura, che condurrà, sotto la Reggenza, all’esuberanza rocaille.
Watteau e la rocaille
Dopo che i rubensiani ebbero la meglio sui poussinisti e la nozione di “colore” su quella di “disegno”, si tornò a un’arte meno maestosa, più distesa e anche più poetica.
Nonostante la sua breve vita, Antoine Watteau resta il rappresentante ideale di questa tendenza, con le sue raffigurazioni di feste galanti e le sue incessanti evocazioni dei progressi dell’amore.
Dopo di lui, François Boucher continuerà in questa direzione, arricchendola di tutta un’iconografia mitologica con la quale celebrerà, fra gli altri, gli amori degli dei.
In questo secolo di empietà e di critica religiosa, sussiste tuttavia, grazie alle commissioni della Chiesa, tutta una tradizione di iconografia cristiana, che si riflette nell’arte di un Jean Restout come di un Pierre-Charles Trémolières, artista sfortunatamente scomparso troppo presto. Nella provincia francese, alcuni centri artistici si distinguono ancora per la loro originalità, come la Linguadoca con un artista particolarmente espressivo come François Dandré-Bardon.
Sotto il regno di Luigi XV (morto nel 1774) si assiste al sorgere dell’arte neoclassica, influenzata da numerosi fattori: gli scritti di Winckelmann e del conte di Caylus, la riscoperta dell’antico con gli scavi di Pompei e Ercolano, ma anche dalla nuova borghesia imprenditoriale, che non si riconosceva più in uno stile profondamente aristocratico come il rococò.
Il realismo e i soggetti di genere si impongono poco a poco, parallelamente all’affermazione di un certo gusto per la pittura nordica del secolo precedente.
Se Challe o Despez riflettono ancora l’influenza, diffusa ovunque, di un Piranesi, artisti come Greuze e Hoin esprimono un nuovo interesse per l’analisi psicologica e il realismo del ritratto, che si trova anche in Quentin De La Tour e Chardin.
Il viaggio in Italia resta un privilegio per molti giovani artisti, con l’indispensabile soggiorno, per i laureati del prix de Rome, a Palazzo Mancini, sede dell’Accademia di Francia. Charles Natoire dirigerà a lungo questa istituzione e spingerà molti artisti a disegnare dal vero, spesso a matita rossa, come Hubert Robert, o all’acquerello, come Houël.
Neoclassicismo
Intorno a Jacques-Louis David si cristallizza un nuovo vangelo, quello dell’exemplum virtutis (esempio di coraggio fisico o morale) ereditato dagli antichi: grandi lettori di Plutarco e di Tacito, i giovani innovatori dello stile, amanti della linea fredda e del racconto eroico, coltivano un repertorio nuovo, approcciandolo essenzialmente attraverso i loro disegni.
Ben prima del trionfo del Giuramento degli Orazi al Salon del 1785, David aveva celebrato la virtù di Andromaca, vedova di Ettore, il suicidio esemplare di Artemisia e il rispetto della parola data da parte di Marco Attilio Regolo. Esiliato a Bruxelles dopo il definitivo ritorno dei Borboni nel 1815, egli si dedicò a ritratti disegnati dalla tagliente acidità. Il suo prodigioso successo lasciò poche possibilità ai suoi rivali, come Peyron, prosecutore della linea attica, o Vincent, sorta di artista proteiforme la cui grande abilità non fu assolutamente intaccata dai successivi cambiamenti stilistici.
Molti altri disegnatori ebbero un percorso simile, mentre Louis-Léopold Boilly, pittore realista della borghesia contemporanea, o Prud’hon, vaporoso erede di Correggio, si affermarono ciascuno grazie a uno stile personale. La gloria di Napoleone sarà ovviamente narrata da David e dagli allievi di quest’ultimo, tra cui Girodet o Gros.
Romantici, paesaggisti, disegnatori letterari
È proprio con Gros che si manifesta la tensione fra la doxa neoclassica e l’impulso romantico, contraddizioni così violente che condussero l’artista al suicidio. Per il suo contemporaneo Géricault il problema è ben diverso: gli eroi che egli raffigura sono popolari, spesso colpevoli, più spesso ancora, già condannati; la loro statura michelangiolesca si scontra con la forza del fatum che li accompagna. Ultimo dei classici o primo dei romantici? Si potrebbe quasi porre la stessa domanda di fronte a Ingres, che si considerava apostolo di un classicismo rispettoso delle forme, ma la cui grafica audace, unita ad un’abilità sconcertante, farà di lui “un uomo a parte”. La commedia umana che egli censisce attraverso quasi cinquecento ritratti a matita, nei quali dimostra di essere l’erede di Clouet e di Holbein il giovane, contrasta con momenti di ardita stranezza e con il primitivismo che si afferma nelle sue “grandi macchine”, nelle quali riafferma il suo desiderio di essere considerato prima di tutto un pittore di storia.
Più impulsivo, sebbene si sia sempre considerato “un puro classico”, Delacroix, il grande rivale che la storia dell’arte non ha mai smesso di opporgli, incarna il movimento e lo slancio romantico con l’affermazione di una immaginazione in perenne rinnovamento, immaginazione che Baudelaire celebrava come “la regina delle facoltà”. Si è scelto di giustapporre qui sette opere di ciascuno di questi due maestri, affinché lo spettatore prenda coscienza delle loro differenze tecniche, ma anche dell’uguale fecondità del loro genio creativo.
Se Delacroix, ancora una volta secondo le parole di Baudelaire, si considerava “un pittore letterario”, è anche l’importanza dei rapporti fra lo scritto e il disegno che illustrano le opere di artisti come Daumier o Bresdin, così come quelle di scrittori-disegnatori prolifici (Victor Hugo) o rarissimi (Baudelaire) partecipano della stessa energia; un Corot, e un po’ più tardi un Millet e un Rousseau, brillano come paesaggisti, mentre Carpeaux regna sulla scultura.
Modernità
La modernità grafica che prepara le conquiste plastiche del XX secolo non deve essere cercata nell’impressionismo puro, i cui maggiori esponenti (Monet, Sisley, Pissarro) non furono disegnatori geniali. Essa è piuttosto il frutto del lavoro di un Manet o di un Degas, che, all’inizio della loro carriera di artisti, fecero tuttavia riferimento nei loro disegni ai grandi maestri italiani del Rinascimento e alle loro figure ideali.
Essa risiede anche in una continua affermazione del ruolo dell’immaginazione, che tende oramai all’onirico e allo spettacolare, come in Redon o in Rodin.
Con Toulouse-Lautrec, come con Seurat e Cézanne, l’atto grafico si afferma come conquistatore: di un’estrema acidità nel primo, di una straordinaria maestria tecnica nel secondo, sorta d’“inventore del nero”, e infine di un’audacia prodigiosa in Cézanne, che cerca di avvicinare la resa della sua “piccola sensazione”, a lungo meditata, alla sua alta concezione dell’“arte dei musei” attraverso una ricerca di armonia formale, di una potenza incomparabile.