Museo Correr

Museo Correr

NAVIGARE E DESCRIVERE.

Percorso

La mostra presenta un’affascinante e in parte inedita selezione di Isolari e Portolani, compresi tra il XV e il XVIII secolo, tutti appartenenti alle collezioni del Museo Correr.
Tra i numerosi documenti che testimoniano la ricca tradizione di libri e carte utili alla navigazione, queste opere manoscritte e a stampa – prodotte in gran parte a Venezia – sono un genere poco noto, che ben si inserisce nell’approfondimento del rapporto di Venezia con il mare, con la sua vocazione a far entrare in contatto diverse culture tra paesi d’Europa, del Mediterraneo e del Levante.

Viaggio e Scrittura. Le due esperienze sono strettamente collegate: dal viaggio nascono le forme primarie della scrittura come la lettera, il memoriale o diario di bordo. Ma è la stessa scrittura che nasce come viaggio al di là della distanza di spazio e tempo. Fin dagli esordi delle repubbliche marinare, la navigazione e il commercio entro le coste del Mediterraneo avevano favorito la nascita di una ricca letteratura tecnica come libri d’abbaco, tariffe, glossari plurilingui, portolani, e di una vasta produzione di mappe nautiche su pergamena e su carta. La diffusione della stampa a caratteri mobili alla fine del Quattrocento, di cui Venezia divenne presto uno dei principali centri di produzione in Europa, fu subito affiancata e sostenuta dal grande sviluppo delle tecniche di riproduzione dell’immagine. Pur rientrando nella tradizione medievale del pellegrinaggio, l’incunabolo di Bernard von Breydenbach (Peregrinatio in Terram Sanctam, 1486) presenta elementi di modernità nella ricerca e rappresentazione dei luoghi e dei monumenti che sono all’origine della fede. Si tratta di un viaggio realmente compiuto dall’autore che volle al suo seguito Erhard Reuwich, pittore di Utrecht, per eseguire i disegni da cui furono poi tratte le xilografie. Su questa scia si colloca il Viaggio da Venetia al Santo Sepolcro & al Monte Sinai (1610) che conobbe uno straordinario e duraturo successo attraverso i secoli: libro di lettura per chi non viaggia, sorta di fiction religiosa rivolta al pubblico più vasto. All’opera del Breydenbach va, inoltre, collegato quel filone geografico che vede nell’isolario di tipo cronachistico (G. F. Camocio, Isole famose porti, fortezze, e terre maritime, 1575) un esempio di aggiornamento ed attualità per un pubblico non specializzato. Nel corpo principale delle mappe insulari sono interposte vedute di fortezze e battaglie armate; le isole divengono anelli di congiunzione nella catena dei vari teatri di guerra che si succedono nel Levante Veneto. L’opera di Giuseppe Rosaccio (Viaggio da Venezia a Costantinopoli e alla Terra Santa, 1606) combina l’antica arte dei libri di isole con la tradizione del pellegrinaggio seguendo l’impronta degli isolari informativi, di pubblicazione popolare, da cui attinge ispirazione e materiale cartografico. Destinati ad un largo consumo si possono ritenere anche i libri di Jan Peeters (Description des principales Villes, 1686), isolari di produzione fiamminga di piccolo formato, rivolti ad un pubblico non specializzato.

Navigando per l’arcipelago. Angelo degli Oddi, autore de Le città le Fortezze e i Redotti del Regno di Candia intendeva fornire il massimo delle informazioni sull’isola a coloro che, da Venezia, ne avevano la responsabilità della difesa. Avviò così un nuovo stile descrittivo che ispirerà anche il capolavoro manoscritto di Francesco Basilicata (Regno di Candia, 1618), e, in ambito tipografico, i lavori di Marco Boschini Il Regno tutto di Candia (1651), e l’Arcipelago (1658) che confermano la concezione dell’isolario come ideale del sapere cartografico. Le isole, senza “terre incognite”, circoscritte in uno spazio definito, danno, infatti, la possibilità di essere riprodotte con completezza come area geografica autonoma e conclusa. Dalla fine del XVI secolo l’interesse del pubblico occidentale si rivolge all’ espansione degli Ottomani verso Occidente. Una grande quantità di materiale informa sull’evolversi degli avvenimenti bellici conferendo agli isolari un aspetto di tipo cronachistico. Agli apparati cartografici si interpongono vedute di fortezze, città e raffigurazioni di scontri armati (V.M. Coronelli, Memorie istoriografiche de’ Regni della Morea, Negroponte e littorali, 1686); F. Piacenza, L’Egeo redivivo, 1688; G. B. Pittoni, Il regno della Morea sotto i veneti, 1688). Le isole sono trasformate in microscopici paesaggi che prediligono lo spettacolare impatto visivo. Una grande svolta da questo punto di vista è costituita dall’opera di Tommaso Porcacchi (L’isole più famose del mondo, 1576, n.22) che, usando per primo la tecnica della calcografia con le tavole di Girolamo Porro, conferisce alle immagini una straordinaria nitidezza e precisione mentre i testi rimangono ancora inframmezzati da curiosità e notizie storico-geografiche spesso fantastiche. Le esigenze di conoscenza del mare, legate al commercio nel Levante nutrono altri filoni d’ispirazione per gli isolari e i portolani pubblicati prevalentemente dalle tipografie fiamminghe e veneziane nel XVI e XVII secolo, il cui obiettivo principale è offrire informazioni dettagliate e funzionali, strettamente legate alla praticità del navigare. Questa tradizione inizia da Cristoforo Buondelmonti (Insulae archipelagi cum pictura, 1420 ca.), che sottopone la conoscenza alla prova dell’esperienza personale del viaggio, e continua con Bartolomeo da li Sonetti (Isolario, 1485), che, con lo straordinario uso del mezzo poetico rende il suo testo memorizzabile. Si aggiungono il Portolano da naviganti di Alvise da Mosto (1490) riedito più volte fino al XVIII secolo, l’Isolario di Benedetto Bordone (1534), dove il profilo delle coste nei disegni viene accentuato per risultare di più immediata identificazione e il manoscritto dell’ammiraglio greco al servizio della Serenissima Antonio Millo (Isolario et Portolano de tuto el Mare Mediterraneo, 1537 ca., n.3) il quale, alle notizie di uso pratico, non affianca alcun tipo di riferimento storico-letterario. Veri e propri manuali di cultura nautica sono quelli di Michelangelo Biondo (De ventis et navigatione libellus, 1546) e di Bartolomeo Crescenzio (Nautica Mediterranea, 1602 che offrono notizie sul modo di costruire le navi e sul modo di governarle, sui venti e sulle tecniche di navigazione.

I libri del Grande Mare. L’ Isolario dell’Atlante veneto (1696) di Vincenzo Coronelli, monumentale raccolta di 310 carte e vedute di isole, è l’ultimo degli isolari. Volume di imponenti dimensioni, mirava, con una magnifica celebrazione dei luoghi della Serenissima nei suoi ultimi bagliori, a risollevare il morale del suo pubblico più che a completarne le conoscenze. Tra la fine del XVII e il XVIII secolo gli isolari scompaiono perché sono mutate le esigenze cui queste opere rispondevano. Sulla spinta dello stesso Coronelli, l’informazione veniva trasmessa al vasto pubblico attraverso opere a stampa – gli Atlanti – rappresentazioni in sintesi del mondo e del sapere universale, oggetti preziosi che ampliavano la conoscenza dello spazio conosciuto e che non potevano mancare dalle biblioteche delle grandi famiglie. Ciò vale sia per l’informazione strettamente geografica che per quella autocelebrativa delle maggiori potenze marittime europee. In questo stesso periodo, sulla scia delle nuove conquiste coloniali e nell’ambito della vasta produzione cartografica promossa dalla Compagnia delle Indie Occidentali, si realizzano progetti di opere strettamente destinate alla navigazione. Compaiono sul mercato editoriale atlanti nautici di edizione fiamminga (J.A. Colom, Colom de la Mer Mediterrannée, 1650, P.S. Valck, Vera dichiaratione del mare del Arcipelago, 1676, C.J. Vooght, Della nuova, e grande illuminante face del mare, 1695), inglese (G. Alagna, A Compleat Set of New Charts…, 1764) , francese (J.N. Bellin, Hydrographie françoise, dopo il 1772) ed anche italiana (R. Dudley, Dell’arcano del mare, 1647, F.M. Levanto, Lo specchio del mare, 1679). Le carte nautiche diventano tematiche e funzionali: l’acquisizione degli elementi per produrle è quantitativamente più ricca e precisa e comporta l’impiego affiancato e coordinato di numerose e differenti specializzazioni (il comandante di nave, il pilota di porto, l’astronomo, il matematico, il geografo, il topografo, lo storico, il disegnatore, l’illustratore, il decoratore, l’incisore, l’autore dei testi, l’editore e così via). Tutto ciò determina, accanto ad una maggiore precisione e “scientificità” delle carte e alla normalizzazione dei simboli grafici di riferimento topografico, un loro progressivo impoverimento nella spettacolarità descrittiva e nella interpretazione degli spazi. La funzionalità della carta nautica non sta più nel bel disegno ma nella completezza degli elementi che servono a condurre una sicura navigazione.

Al servizio della Repubblica Serenissima. Accanto alla grande produzione a stampa di portolani e atlanti nautici, convive per tutto il Settecento e parte dell’Ottocento la consuetudine di affidare a testi e a disegni manoscritti la descrizione di coste e isole mediterranee. Si tratta, per lo più, di documenti che per l’oggetto geografico specifico e per il modo dettagliato e preciso con il quale insistono nella restituzione cartografica di aree marittime particolarmente frequentate o contese, richiedono un vincolo di segretezza o, quanto meno, consigliano una diffusione controllata che non vada a favorire progetti espansionistici di possibili antagonisti e concorrenti. E’ il caso dei portolani manoscritti di Gaspare Tentivo impaginati con alternanza di testi scritti e di disegni con i piani dei porti (Il Nautico ricercato dal mare) che coprono le rotte di navigazione che da Venezia vanno al sud dell’Adriatico, agli arcipelaghi dello Jonio e dell’Egeo, a Candia fino a lambire il versante nordafricano. Attorno al 1681, Gaspare Tentivo era imbarcato come capitano su una nave veneziana, La Fama Volante, agli ordini dei comandanti di squadra Paolo Michiel e Lorenzo Venier (disegno a parete Ordinanza delle nave venete direte dall’Ecc.° S: Lorenzo Venier C:°Ex° delle navi). Poco prima che iniziasse la guerra contro la Porta ottomana che si concluse con la riconquista veneziana del Peloponneso, egli intraprese una vera e propria campagna di rilevamento idrografico, includendovi ogni osservazione che rendesse “facilitata la navigazione”. I manoscritti esposti in questa sala documentano questa attività. Dedicati dal Tentivo ai suoi comandanti e forse da loro stessi commissionati, sono più che l’opera di un cartografo, gli appunti presi da un uomo di mare durante la sua lunga esperienza di navigazione. Per la loro evidente utilità pratica, vennero replicati in copie successive ed ebbero una certa diffusione (oggi se ne contano tredici esemplari di cui sei al Museo Correr). Sono più o meno simili nei testi mentre si differenziano per l’accuratezza dei disegni che, nella copia dedicata a Pompeo Rota, assumono una veste preziosa da “collezionista”. Gian Francesco Rossini, ingegnere della Repubblica Serenissima con il grado di Sergente Maggiore, era nel 1726 a Costantinopoli al servizio del bailo Francesco Gritti. In questo periodo compilò la raccolta Primi Originali delle Carte Hydrografiche e Topografiche del Canale de Dardanelli, con un dettagliatissimo rilievo delle coste, dell’andamento delle correnti, della definizione delle distanze da punto a punto, con annotazioni scritte per la sicura navigazione. Si aggiungono i disegni in pianta e prospettici delle fortificazioni dello stretto, e alcune vedute di Costantinopoli realizzate con la camera oscura, che appaiono di particolare nitidezza e sono ricche di informazioni tecniche e militari; questa interessante raccolta venne presentata dal bailo Gritti al Senato veneziano assieme alla Relazione conclusiva della sua missione diplomatica: in sintesi, una accuratissima opera di spionaggio. Al Rossini può essere attribuito anche il disegno con La veduta di Costantinopoli da Pera.

Il golfo di Venezia. La cartografia è stata anche uno strumento per affermare la potenza e la grandezza dello Stato; così fu , ovviamente, anche per la Serenissima Repubblica di Venezia per la quale la conoscenza del mare era il segno stesso della vastità dei suoi interessi e un modo di autocelebrarsi. Nell’ultimo periodo della sua storia la Repubblica rinuncia a difendersi con le armi e affida quasi esclusivamente alla diplomazia la propria sicurezza e le sorti della sua stessa sopravvivenza. Proprio in questa drammatica fase, non a caso, rinvigorisce la tradizione della produzione cartografica per riconfermare, tra l’altro, il proprio dominio incontrastato sul Golfo di Venezia, a quel tempo esteso geograficamente e politicamente a tutto l’Adriatico e alle isole ioniche. In questo contesto, l’episodio artistico più significativo fu all’epoca il restauro, per opera di Francesco Griselini, delle tele a soggetto geografico che Giacomo Gastaldi e Giovanni Battista Ramusio avevano realizzato per la Sala dello Scudo in Palazzo Ducale. Affermazioni della potenza marittima veneziana sono da considerare anche le opere a stampa a carattere geografico della famiglia Zatta e, per lo spiccato dettaglio nautico e per l’impatto delle immagini, la Nuova Carta Marittima del Golfo di Venezia incisa da A. Fornari per i tipi di L. Furlanetto (1796) e la monumentale serie di diciotto carte del Golfo di Venezia disegnata da Vincenzo De Lucio e incisa da Francesco Ambrosi. Questi diciotto fogli sciolti con i simboli topografici ormai normalizzati, quali le indicazioni di profondità, degli scogli e delle secche, sono anche corredati da avvertimenti che riportano informazioni sul regime dei venti, sulla forza e la direzione delle correnti, sulle rotte d’avvicinamento ai porti e ai ridossi, sulla loro capacità e capienza di ricevere naviglio, sulle risorse a terra, sulle peculiarità dei punti cospicui per l’avvistamento, sulle acque adatte alla pesca e quant’ altro ancora potesse essere utile alla navigazione. L’intera serie in alcuni fogli è arricchita dalll’allegoria di Venezia Dominante e presenta dediche ai patrizi veneziani Tommaso Condulmer cavaliere della stola d’oro, al senatore Angelo Diedo, a Francesco Pesaro procuratore di San Marco, al senatore Pietro Zaguri, alla Società Economica di Zara, dediche dalle quali si può stabilire che le carte, probabilmente edite in tempi differenti, sono state prodotte poco tempo prima della caduta della Serenissima.