Museo Correr

Museo Correr

PAOLO CONTE RAZMATAZ.

Percorso

Paolo Conte descrive RAZMATAZ

RAZMATAZ è un vecchio sogno che coltivo da trent’anni, figlio dei miei vizi capitali che sono la musica e la pittura e figlio del mio insistente desiderio di mettere il naso nel gusto e nello spirito degli amati anni venti, culla delle avanguardie estetiche del novecento, là dove qualsiasi idea di “modernità” deve per forza recarsi in adorante pellegrinaggio.
Il 20° secolo ha avuto il suo splendore artistico nel suo secondo decennio con una forza rivoluzionaria che mai più in seguito si riuscirà a riscontrare: l’invenzione del cinema, l’invenzione della musica jazz e dell’atonalismo, i movimenti d’avanguardia pittorica, dal cubismo al da-da, al futurismo…..Tutta una serie di invenzioni che possono far impallidire qualsiasi iniziativa storicamente successiva. E’ una mia idea fissa, che il passare del tempo non fa che confermarmi senza alcuna smentita. RAZMATAZ è, in forma di racconto, la celebrazione dell’incontro della vecchia Europa con la giovane musica nera. E questo incontro avviene nella città più adatta a farne mediazione e testimonianza: Parigi.

L’Europa, forse un po’ stanca dei suoi miti storici e cittadini, avverte che in America si sta inventando roba nuova. C’è in giro per l’Europa un vibrante desiderio di esotismo, un culto per la negritudine, la scoperta dell’arte povera e primitiva e, infine, la voglia di pesare i propri valori sulla bilancia di New York, di prendere lezioni americane. Nella storia qui raccontata questa Europa è rappresentata da personaggi più o meno emblematici: la borghesia ricca, l’artista espressionista di Berlino, il viveur italiano, il grande stilista di moda parigino, lo sportivo inglese, la scrittrice di romanzi del mistero… L’America è rappresentata da una compagnia di musical nero che si deve esibire a Parigi. Non sto a svelare l’intreccio: è in questo lavoro audiovisivo il compito di “raccontarlo” al pubblico. La spiegazione del progetto deve partire da un esordio che può sembrare provocatorio, anche se non lo è: facciamo finta che il cinema non sia ancora stato inventato. Ecco, in parole poverissime: potrebbe sembrare uno sceneggiato radiofonico illustrato, oppure, al contrario, uno storyboard sonorizzato. Infatti il lavoro, al pubblico, offre mischiate insieme le seguenti tecniche: una voce narrante, dialoghi e monologhi dei personaggi, musica live, musica di background, rumoristica ed illustrazioni in grande abbondanza. Più in particolare:

a) La musica live: intendiamo tutta la musica che, nella vicenda, promana da una fonte visibile (musicisti che suonano, cantanti che si esibiscono in un dehors, mendicanti per la strada, fonografo in funzione, ecc.ecc.). Le composizioni musicali di questa serie, contro ogni logica del musical correntemente inteso, sono in quantità enorme (20 titoli) e comprendono musiche all’americana, canzoni alla francese (dal valzer Musette allo stile Vaudeville, alla Giava diavolesca), musica lirica di stampo italiano, una suite sinfonica nel gusto che in America sta a cavallo tra ottocento e novecento, danza spagnola, ecc.

b) La musica di background: (cioè di sottofondo o di commento) comprende 10 composizioni strumentali.

c) La voce narrante: è esposta in cinque lingue (francese, italiano, inglese, tedesco, spagnolo) e racconta la trama della vicenda per brevi passi, soffermandosi ogni tanto a commentare più diffusamente il sapore di certe scene.

d) I dialoghi e i monologhi: sono le voci dei personaggi della storia esposte secondo il seguente criterio: ogni personaggio si esprime nella lingua che nella vicenda parla abitualmente (francese per tutti gli europei, compresi i personaggi tedeschi e inglesi residenti a Parigi, questi ultimi mantenendo ben pronunciato l’accento d’origine, inglese invece per gli artisti arrivati dall’America). Provvederanno i sottotitoli a risolvere i problemi di traduzione didascalica.

e) La rumoristica: è usata con gusto cinematografico e con molta parsimonia per lasciare alla musica tutto lo spazio sonoro di cui necessita.

f) Le illustrazioni: si tratta di circa 1800 tavole eseguite con le tecniche più varie (matita, gouache, pastelli ad olio, inchiostri). Esse raccontano la trama della vicenda che si svolge e allo stesso tempo hanno il compito di fissare le atmosfere di ogni scena (pertanto non si pretenda la somiglianza dei volti nelle varie sequenze, poiché di volta in volta i personaggi sono stati “cercati” dal disegno e dal colore per tirarne fuori la tipologia etnica oppure l’espressione della sottostante recitazione).

La coesistenza di tutti questi linguaggi è sembrata, fin dalle prove iniziali, una coesistenza pacifica, addirittura amichevole. E’ chiaro: non c’è movimento, le immagini (talvolta messe in evidenza con tagli, panoramiche, carrellate e zooms) possono essere guardate più che altro come quadri di una esposizione, la voce narrante le aiuta commentandole e qualche volta offrendo loro un po’ di “letterarietà”, i dialoghi le caricano di un timbro adulto e realistico. Ma alla fine è la musica che la fa da padrona e assorbe in sé (anche attraverso i testi delle canzoni) tutto il gusto generale che il lavoro propone. E’ dunque un progetto che non vuole mai considerarsi definitivo, ma, anzi, desidera continuamente “spiegarsi”, fantasma di un cinema che non è, ma potrebbe, forse vorrebbe, essere. Il cinema dunque è lontano, sì, ma più vicina è magari la letteratura, più vicina la lettura dei tralicci su cui si appoggia la sceneggiatura e la possibilità di immaginare da parte del pubblico con libertà massima è sempre e comunque a portata di mano.