Museo Correr

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AMLETO E DONATO SARTORI: LA MASCHERA DEL TEATRO. Un viaggio oltre la maschera dalla Commedia dell’Arte a Goldoni al Teatro Nuovo.

Gli artisti

… Sartori padre e figlio sono due personaggi cavati di netto dal Rinascimento. Come i Carracci, i Veneziano, i Pisano. Quasi sempre padre e figlio, che si scambiano il testimone e che sembrano la reincarnazione uno dell’altro. Fabbricano maschere, ma potrebbero issare ponti, costruire navi,palazzi o tingere e tessere arazzi: il loro valore non cambierebbe. Chi è il più geniale dei due? Il padre o il figlio? Senza spandere melassa di fanatica ammirazione il ricercare una graduatoria sarebbe da paranoici cronici: i Sartori sono una unica irrepetibile accoppiata. Dicevamo del loro mestiere di scultori di maschere. Personalmente, di loro maschere ne ho calzato a centinaia, in spettacoli, durante esibizioni e lezioni, in convegni e nelle università, da Copenhagen a Parigi, da New York a Pechino. Ad occhi chiusi riconosco la maschera di Arlecchino del Biancolelli piuttosto di quella presunta di Tristano Martinelli, il primo Arlecchino. Ma più agevole mi risulta scoprire se una maschera è stata creata, scolpita e battuta in cuoio dai Sartori o si tratta di imitazione. Non è per isteria, ma vi assicuro che più di una volta m’è capitato, per emergenza, di dover calzare una maschera fabbricata da imitatori: dopo qualche minuto non mi riusciva di continuare nella rappresentazione. Mi si incollava sul viso, strusciava sulle guance, mi graffiava il naso. Soprattutto, da sotto il labbro di cuoio usciva una voce storpiata, sibilante e, a tratti, opaca. Pochi, infatti, sanno che una maschera d’autore è oltre tutto uno strumento acustico straordinario, uno strumento musicale di amplificazione e catalizzante equilibrio dei toni, degli acuti e dei gravi. – Dario Fo

Amleto Sartori. Scultore dotato per il ritratto ma anche modellatore della creta ed abile nella fusione in bronzo, all’età di 9 anni apprende le tecniche di intaglio del legno presso la bottega di uno scultore, a 16 ottiene il diploma di maestro d’arte e nel 1939 si diploma all’accademia di Belle Arti di Venezia per poi specializzarsi nella scultura in marmo presso l’Accademia di Firenze. Successivamente insegna arti plastiche e scultura in marmo nella scuola d’arte Pietro Selvatico a Padova. Durante il periodo fascista viene perseguitato per la realizzazione di alcune opere contro le dittature. Questa esperienza dà origine ad una raccolta di poesie: “I ricordi della montagna”. Nel 1947-48 viene chiamato dal direttore del teatro dell’Università di Padova, il regista Gianfranco De Bosio, per insegnare modellazione di maschere teatrali; qui incontra Ludovico Zorzi, studioso del commediografo della Padova cinquecentesca Angelo Beolco detto il Ruzante, e il mimo francese Jacques Lecoq, chiamato ad insegnare movimento mimico ed improvvisazione. Da questi incontri scaturiscono le idee per realizzare le maschere da Commedia dell’Arte e soprattutto le maschere neutre. Tra il 1947 ed il 1962 si dedica allo studio dei personaggi della Commedia dell’Arte ma soprattutto alle maschere, indagando sui caratteri, sui tipi fissi e la tipologia dei personaggi teatrali e ritrovando le tecniche di fabbricazione in uso nella Venezia del Seicento, quando esisteva una corporazione detta dei “Maschereri”, scultori delle maschere utilizzate dalle compagnie della Commedia dell’Arte itineranti in Europa. La sua straordinaria predisposizione al ritratto e la sua profonda conoscenza della scultura e dell’intaglio del legno gli permisero di raggiungere ben presto i segreti nascosti per secoli delle antiche tecniche delle maschere in cuoio della commedia all’improvviso. Numerosi viaggi a Parigi presso i vari musei teatrali (importante fu la conoscenza di alcuni modelli-matrice presso il Musée dell’Opera), la scoperta di taluni stampi in piombo alla biblioteca Marciana di Venezia e la visita presso i costruttori dei Pulcinelli napoletani diedero modo ad Amleto di iniziare una ricchissima produzione di maschere che ben presto conobbero l’apice di una straordinaria notorietà non solo in Italia ma in Europa e nel mondo intero. Il regista Giorgio Strehler scopre le maschere di Sartori durante una sua ricerca sui personaggi della Commedia in cui l’Arlecchino del momento, il grande Marcello Moretti, si dipingeva la maschera sul volto con il nerofumo. Da quel momento il Piccolo Teatro di Milano utilizzò le maschere di Amleto e, successivamente di Donato per moltissime opere teatrali. Viene chiamato a Parigi da Jean-Louis Barrault per preparare un gruppo di settanta maschere per l’intera trilogia dell’Orestiade di Eschilo, questa esperienza rappresentò un importante momento per la diffusione del suo lavoro, essendo chiamato da registi di tutta Europa, per ideare e creare maschere per rappresentazioni a Copenaghen, Essen, Hannover, Bordeaux. Continuò sempre ad insegnare, studiare, ad approfondire non solo la tecnica di realizzazione delle maschere ma anche la loro cultura specifica, partendo dalle maschere classiche antiche a quelle della Commedia dell’Arte italiana del Cinquecento e Seicento fino a tutto il Goldoni.

Donato Sartori. Apprende nell’atelier del padre i primi erudimenti di ordine artistico che costituiscono il prezioso patrimonio dal quale trarranno origine le sue successive esperienze. Completati gli studi, insegna scultura e storia dell’arte nelle Scuole e Istituti statali d’arte, continuando le sue sperimentazioni sul cuoio consolidate dalla tecnica tramandata dal padre. Realizza le maschere per il “Galileo” di Brecht e “Arlecchino servitore di due padroni” interpretato da Ferruccio Soleri, per il “Figlio di Pulcinella” di Eduardo De Filippo, per il Teatro di Enriquez, per la Scuola di Jacques Lecoq e per la Comedie Française a Parigi. I moti politici e culturali del ’68 lo influenzarono a tal punto che prese a sperimentare forme e tecniche diverse abbandonando la modellazione figurativa della creta per proiettarsi verso la creazione della scultura in metallo, attraverso fusioni sperimentali, nuovi linguaggi nell’assemblaggio di metalli diversi, saldature ossiacetileniche, laser ecc. Nel 1975 forma il gruppo “Azionecritica” con alcuni artisti ed intellettuali che operavano tra Padova e Venezia. Verso la seconda metà degli anni ‘70 a Parigi conosce il critico d’arte Pierre Restany, fondatore della corrente Nouveau Realism, e viene profondamente influenzato dalla scultura di Cesar, Tinguely e Christo. Si interessano di lui noti nomi noti della critica d’arte quali Marchiori, Passoni, Crispolti. All’estero viene invitato ad importanti manifestazioni di scultura quali il Salon de la jeune sculture di Parigi e le sue opere vengono acquisite dal Museo d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia, dal Museo Brindisi di Spina, Art and Krafts di New York e dai Musei di Tokyo e di Città del Messico. Nel 1979 fonda il Centro Maschere e Strutture Gestuali assieme all’architetto Paola Pizzi e allo sceonografo Paolo Trombetta, organismo che si occupa della maschera etno-antropologica, la maschera di teatro dall’antichità fino ai nostri giorni e delle più recenti ricerche pluridisciplinari sul mascheramento urbano e le strutture gestuali. Nel 1980 Donato Sartori viene invitato dal direttore Maurizio Scaparro a partecipare alla Biennale-Teatro di Venezia dove realizza la grande installazione-performance a Piazza San Marco chiamata “Ambienteazione” con la partecipazione di quasi centomila persone. Questi mascheramenti urbani furono portati in altre città, in Italia e all’estero, ognuna con uno specifico progetto unito a verifiche delle istanze sociali, culturali e architettoniche. Gli anni successivi registrarono un numero crescente d’interventi in Europa tra esposizioni itineranti, attività pedagogiche, installazioni e mascheramenti urbani richiesti anche negli USA e nel medio ed estremo Oriente, grazie anche alla promozione del Ministero degli Affari Esteri Italiano nel quadro di scambi culturali tra Italia e i paesi del mondo come l’Africa, o capitali come Mosca, Tokio, Pechino, negli USA a Houston o a Rio de Janeiro in Brasile. Dal 1996 al 2002 viene chiamato in Svezia a dirigere un laboratorio permanente (Maskenverkstaden): qui tiene seminari sulla maschera teatrale e conduce ricerche storiche sulle maschere medioevali nordiche in collaborazione con docenti universitari, studiosi ed esperti; importante fu la ricerca per la produzione delle “Orestiadi” di Eschilo, regia Peter Oskarson. Per mettere a punto le 140 maschere realizzate con nuove tipologie e tecniche costruttive, sperimentò approfonditamente l’acustica prevista per i cori greci. Nel dicembre 2004 inaugura il Museo Internazionale della maschera “Amleto e Donato Sartori” di Abano Terme, tenuto a battesimo da una prima mondiale realizzata da Dario Fo e Franca Rame. Donato Sartori insegna attualmente all’Università di Padova, Dipartimento Arti Musica Spettacolo (DAMS), Storia delle Maschere, un laboratorio teorico e pratico condotto insieme a Paola Piizzi.