Museo Correr

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DANIELE MANIN: DALLA GLORIA ALL’ESILIO. Immagini e memorie dai Musei Civici di Venezia e Cassa di Risparmio di Venezia, Campo San Luca.

Percorso

La vita privata, l’avvocato, l’intellettuale. Daniele Manin nasce a Venezia il 13 maggio 1804. Il nonno paterno, Samuele Medina, di religione ebraica, si era convertito al cattolicesimo nel 1759, assumendo, come usava allora, il cognome della famiglia che lo aveva preso a protezione, quella dell’ultimo doge di Venezia, Lodovico Manin. Il primo maestro di Daniele è il padre Pietro (1762-1829), avvocato di fede repubblicana e democratica. Precoce e geniale, si iscrive a soli quattordici anni all’Università di Padova, dove si laurea in giurisprudenza nel 1821, ma già dal ’19 inizia a pubblicare saggi e trattati. La prima sezione della mostra propone significative testimonianze dell’attitudine intellettuale di Daniele. Ecco dunque la scrivania sulla quale lavorava nella sua casa veneziana affacciata su campo San Paternian – ora campo Manin – e alcuni esemplari dei primi testi da lui pubblicati, assieme ai suoi inconfondibili occhiali e ad altri oggetti personali. Ricerche sopra li testamenti risale al 1819; la traduzione dal greco del libro attribuito a Enoch, Degli Egregori è del 1820. Dal ’23 è socio dell’Ateneo Veneto per gli studi giuridici e filologici. Nel 1824 sposa Teresa Perissinotti (1795-1849): dalla loro unione nascono Emilia (1826-1854) – omonimia non casuale con l’opera pedagogica di Rousseau – e poi Giorgio (1831-1882) che, trentenne, parteciperà alla spedizione dei Mille di Garibaldi. Dal 1831 esercita la professione di avvocato, ma – più che nelle aule giudiziarie – è nella vicenda della costruzione della linea ferroviaria Venezia-Milano che il giovane legale fa le prime esperienze che gli procurano notorietà nella borghesia e il riconoscimento progressivo di un ruolo di guida nel movimento liberale, che troverà conferma nel 1847, coinvolgendo sia la parte più aperta del patriziato sia le masse popolari. Questo movimento, che lentamente prende forma a Venezia, chiede l’attuazione delle riforme promesse dall’Austria nel 1815. Manin vi si distingue, inviando a Vienna petizioni e vivacizzando il dibattito cittadino con numerosi interventi all’Ateneo Veneto, che diviene il fulcro del movimento.

Manin rivoluzionario: il Quarantotto. Malinconico e insicuro in privato, oratore vivace e preciso in pubblico, Manin partecipa a numerose sessioni del Congresso degli scienziati che si tiene a Venezia nel settembre del ‘47. La sua posizione politica emerge soprattutto nel saggio Giurisprudenza veneta contenuto nella monumentale guida Venezia e le sue lagune (Venezia, 1847), offerta ai convegnisti dal Comune. La censura austriaca stringe le maglie: il 30 dicembre Niccolò Tommaseo (1802-1874, linguista, saggista, scrittore e patriota) pronuncia all’Ateneo un discorso sulla censura ed entrambi, il 18 gennaio 1848, vengono arrestati e rinchiusi alle Prigioni. Ma anche a Venezia, come in molte città d’Europa, serpeggia ormai la rivolta contro gli stati autoritari, e in seguito a forti pressioni popolari, il 17 marzo Manin e Tommaseo vengono liberati e portati in trionfo nella città insorta. Per evitare gravi disordini , Manin istituisce una Guardia civica, da opporre sia alle intemperanze degli austriaci che a quelle della piazza. L’arrivo della notizia dell’insurrezione milanese (il 21 marzo iniziano le celebri Cinque Giornate) e la crescente agitazione popolare lo convincono (22 marzo) a mettersi alla guida di un governo provvisorio, istituendo una repubblica di cui nomina ministri Paleocapa, Tommaseo, Paolucci, Pincherle, Castelli, l’ex magistrato Camerata e l’imprenditore Toffoli, riservando per sé gli Esteri. Numerosissimi da allora gli episodi che lo vedono indiscusso protagonista del biennio rivoluzionario veneziano, dai giorni dell’entusiastica esaltazione popolare fino a quelli drammatici della capitolazione sotto i colpi delle artiglierie austriache nell’agosto del ’49. In questa sezione della mostra sono esposte alcune delle molte immagini prodotte nei più diversi supporti – quadri, stampe, manifesti, medaglie, oggetti d’uso popolari – all’epoca dei fatti e anche in seguito, dopo l’annessione di Venezia all’Italia nel 1866: ecco quindi il Ritratto di Manin con la fascia degli ufficiali della Guardia Civica, di Leonardo Gavagnin; Daniele Manin occupa con i rivoluzionari l’Arsenale di Vincenzo Giacomelli, ma ecco anche la spada e il fucile che gli appartennero, oltre a oggetti dove compare il suo volto, quasi icona rivoluzionaria, come nei manifesti dell’epoca che riportavano al popolo le sue parole. Sono esposte anche alcune medaglie, tra cui quella fatta coniare poco dopo il decreto del 2 aprile 1849, Venezia resisterà all’Austriaco ad ogni costo, da una “privata società” di patrioti per celebrare l’eroica risoluzione e consentire una raccolta di “offerte alla patria”. Messa in vendita verso il 15 maggio 1849 a 5 lire austriache, in meno di un mese (7 giugno) ha già fruttato 2500 lire.

La via dell’esilio a Parigi. Con una resistenza caratterizzata da atti eroici entrati nel mito, la Repubblica dura sino al 22 agosto del 1849, quando, minata anche dalla fame e dal colera, firma la resa all’Austria. Per Manin e altri 39 patrioti è decretato l’esilio. I loro nomi sono elencati in un manifesto che viene affisso in città, di cui è qui esposto un esemplare. Nel pomeriggio del 27, Manin si imbarca con gli altri esiliati, via Corfù, verso Marsiglia. Qui la moglie Teresa, il 10 ottobre, muore di colera. Manin e i figli proseguono il viaggio verso Parigi. Dall’agosto 1850 alloggiano al 70 di rue Blanche, ai piedi di Montmartre. Della casa è qui esposta una fotografia. Manin si mantiene tenendo lezioni di lingua e letteratura italiana e vendendo una parte della sua biblioteca, rimasta a Venezia e pubblica presso l’editrice Helvetia diretta dal patriota Carlo Cattaneo le Carte segrete e atti ufficiali della polizia austriaca in Italia dal 4 giugno 1814 al 22 marzo 1848 (Capolago, 1851-1852), di cui si era impossessato durante il governo provvisorio. La ripresa dell’attività politica avviene nel 1854 con la risposta a un intervento di lord J. Russell, reader della Camera dei Comuni inglese, che aveva invitato gli italiani a non sollevarsi contro l’Austria, confidando nel fatto che alla lunga il governo asburgico avrebbe concesso più di quanto gli italiani avrebbero ottenuto con le insurrezioni. La risposta di Manin è pubblicata in Francia su «La Presse» del 19 marzo, ma solo con la fine della guerra di Crimea (1856) e della temporanea alleanza tra Austria, Francia e Inghilterra, Manin rilancia il programma per la formazione del Partito nazionale italiano e dedica i suoi ultimi anni in un opera di mediazione tra le diverse componenti del movimento Risorgimentale italiano. Per far questo non lesina interventi sulla stampa internazionale, come quello apparso sul «Times» del 25 maggio del 1856 in cui prende distanza dalle posizioni più radicali e inclini ad atti di terrorismo, come quella di Mazzini (la “teoria del pugnale”), anche per «conciliarci le simpatie dell’Europa». Del periodo sono documentati anche rapporti con alcune tra le più eminenti personalità culturali e politiche dell’epoca, da Victor Hugo a Jules Simon, da Leone Pincherle a Lamennais, oltre alle relazioni con altri esuli veneziani e italiani tra i quali anche il pittore Ippolito Caffi. Profonda l’amicizia con il pittore Ary Scheffer, che di lui ci ha lasciato diversi ritratti. Sono qui esposti, tra gli altri, quelli di Manin e della figlia Emilia sul letto di morte.

Il ritorno a Venezia e la gloria postuma. Manin muore a Parigi il 22 settembre 1857, assistito dal figlio Giorgio. Il suo corpo è ospitato nel cimitero di Montmartre, nella tomba di famiglia degli Scheffer, accanto a quello della figlia Emilia, morta tre anni prima. Le spoglie di Manin, assieme a quelle della figlia e della moglie, torneranno in patria solo dopo l’annessione del Veneto all’Italia (1866). In questa fase il nuovo stato unitario sta infatti costruendo la sua identità e intende celebrare i suoi eroi. In un solenne corteo, la salma di Manin giunge dunque a Venezia il 22 marzo 1868 e viene portata in Piazza San Marco, come testimoniano le quattro tele di Giambattista Dalla Libera, qui in esposizione. Il sarcofago viene ospitato tra le volte della Basilica ma, di fronte alle rimostranze degli ambienti clericali e di altri (ad esempio l’Accademia di Belle Arti per non essere stata interpellata), la Giunta comunale decide di costruire un mausoleo sul lato settentrionale della basilica, ove, nel 1913, verrà traslato anche il corpo del figlio Giorgio. Il consiglio comunale decide anche di far erigere un monumento in suo onore. Dopo alcuni anni di dibattito sul luogo e le forme del monumento, il bozzetto viene commissionato (1870) al celebre scultore ticinese Vincenzo Vela (1820 – 1891), che predilige una raffigurazione del momento rivoluzionario della vita di Manin (l’uscita dal carcere), piuttosto che quella di “padre fondatore” e uomo del dialogo e della mediazione, soprattutto a favore della monarchia, che le classi dominanti si sarebbero attese. Il concetto alla base del progetto di Vela sottolinea la fusione e la partecipazione di tutto il popolo (rappresentato da un arsenalotto e da un marinaio): troppo eversivo per essere scelto. Si chiede allora a Vela di modificare il bozzetto, ma l’artista, piccato, rinuncia. L’anno seguente il consiglio comunale affida finalmente a Luigi Borro (1826-1886) l’esecuzione del monumento, che lo ritrae in modo più neutrale e pensoso. Nel 1875, alla ricorrenza della fatidica data del 22 marzo, il monumento eretto davanti alla casa di campo San Paternian, dove Manin aveva vissuto sino alla rivoluzione, viene ufficialmente inaugurato. La cerimonia è documentata da alcune rare fotografie e dal dipinto Inaugurazione del monumento a Daniele Manin di Giacomo Favretto che chiude l’esposizione.