Museo Correr

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VERONESE. Miti, ritratti, allegorie.

Chiesa di San Sebastiano

Ricostruita da Antonio Abbondi detto lo Scarpagnino nel 1548, la chiesa ospita, oltre ad altre importanti opere, lo splendido ciclo pittorico di Paolo, autore, in momenti diversi e in un arco di tempo che va dal 1555 ai primissimi anni Settanta, delle tele del soffitto della sacrestia, di quello della navata, degli affreschi parietali della navata stessa e del coro, delle pitture del presbiterio, dell’altar maggiore e dell’organo. Complessivamente, dunque, la chiesa di San Sebastiano offre un’eccezionale antologia della prodigiosa produzione pittorica di Paolo nell’arco della sua prima permanenza a Venezia.

La sacrestia. Il primo ambiente essere coinvolto nei lavori di decorazione pittorica fu la sacrestia, dove il pittore pose in opera nel 1555 le numerose tele che compongono la decorazione del soffitto. La decorazione si compone di un comparto centrale con L’incoronazione della Vergine, contornato da quattro ovali con le figure degli Evangelisti. Sui bordi si affollano le scene minori, a monocromo, con otto figurazioni di Storie tratte dall’Antico Testamento, quattro con le vicende della Creazione dell’uomo e quattro tondi policromi con figure di Cherubini. Agli angoli si trovano infine le Virtù cardinali dipinte in terretta rossa. I dipinti sono incastonati nella ricca sequenza di cornici che caratterizzano il soffitto della sacrestia, piuttosto basso, in cui Paolo utilizza colori chiari e assai luminosi e staglia le imponenti figure contro l’azzurro del cielo, spalancando così vere e proprie “finestre” sul soffitto. Il pittore ricorre inoltre all’éscamotage di mettere mano alle stesse cornici, in opera fin dal 1543: approfondendo in modo sensibile quella centrale che contorna la Madonna e conferendo minor rilievo a quelle dei quattro Evangelisti, dà la sensazione che le cinque immagini si trovino veramente al di là dello schermo “reale” creato dalle cornici stesse. Queste prime opere a San Sebastiano palesano tutta la variegata cultura giovanile di Paolo, dove emergono gli influssi del Parmigianino e del Correggio nella raffinatezza delle figure del comparto centrale, di Giulio Romano e di Tiziano in quelle più massicce degli Evangelisti; ma l’insieme è reso uniforme dalla splendida qualità dei colori brillanti e corposi, impreziositi dagli effetti cangianti, in cui già ben evidente appare l’uso delle tecniche delle tinte complementari e delle ombre colorate.

Il soffitto della navata. Già nel dicembre del 1555 Paolo firma il contratto per l’esecuzione delle tele destinate al soffitto della navata della chiesa, che vengono consegnate l’anno successivo. Le tre tele principali sono derivate per il soggetto dal Libro di Ester della Bibbia, come esaltazione del trionfo della Fede – di cui Ester è portatrice – sull’Eresia, rappresentata dal babilonese Amman; evidente appare dunque il riferimento al problema, assai attuale a quelle date, della lotta contro il Protestantesimo. Le tre tele principali sono contornate da numerosi dipinti minori, dove appaiono figure di Angeli, quelle delle Virtù cardinali, la Fede, la Carità, la Speranza e la Giustizia (sugli angoli), festoni decorativi con Cherubini che giocano su balconi in prospettiva. Queste opere minori sono abitualmente imputate dalla critica alla mano dei due aiuti di Paolo, il fratello Benedetto e Antonio Fasolo, ma anche esse sono state ideate dal maestro. Stupenda la qualità cromatica dei soffitti della navata, straordinariamente luminosi, e l’articolata partitura scenografica, che anticipa, nella presenza di grandiose architetture dipinte sugli sfondi, le numerose Cene realizzate da Paolo nel decennio successivo. Stupefacente appare inoltre la capacità strutturale e prospettica dimostrata dal giovane pittore, che riesce a saldare tra loro spazio e figure in mirabile unità. Tipico è inoltre l’utilizzo di elaborate architetture di poggioli e ringhiere, oltre che di ampie gradinate e di cornici sporgenti in prospettiva.

Gli affreschi del coro e della parte alta della navata. Tra il 31 marzo e l’8 settembre del 1558 Paolo, sempre avvalendosi della collaborazione degli aiuti, realizza gli affreschi che decorano la parte alta delle pareti della chiesa e quelle del coro dei frati. Questa parte della decorazione della chiesa ha il suo fulcro nelle figure dell’Angelo annunciante e della Vergine annunciata, splendide per la liquidità dei toni dei colori e per le vibrazioni cangianti, collocate sui pennacchi dell’arco trionfale che immette nel presbiterio, quindi in un luogo di grandissima visibilità, proprio di fronte al coro dei frati e all’ingresso della chiesa. Lungo la parte alta delle pareti laterali della navata, sopra il cornicione, corre invece ininterrotto un finto porticato retto da colonne tortili, di un tipo praticamente del tutto nuovo per Venezia – simili a quelle che Paolo può aver visto durante il suo soggiorno a Mantova, risalente al 1552-53 -, all’interno del quale finte nicchie ospitano le grandiose figure monocrome dei Padri della chiesa e delle Sibille. Se la decorazione della parte alta delle pareti della chiesa si attiene ancora al tema del trionfo della Fede, attraverso la presenza delle figure di quanti predissero l’avvento di Cristo, quella del coro dei frati, eseguita nello stesso torno di tempo, è invece dedicata alla figura del Santo titolare della chiesa stessa. Qui troviamo infatti, affrontate, le immagini di San Sebastiano che rimprovera Diocleziano e di San Sebastiano martirizzato a bastonate. Si tratta degli eventi finali della vita del Santo, che, dopo essere guarito dalle ferite di freccia riportate nel corso del suo primo martirio, cui lo aveva condannato l’imperatore Diocleziano, affronta nuovamente l’imperatore, per rimproverargli le persecuzioni nei confronti dei Cristiani, venendo da questi condannato ad essere ucciso a bastonate dai suoi sgherri. In queste opere sulla drammaticità degli eventi narrati prevale la teatralità del racconto, sottolineata dall’elaborata impaginazione delle immagini e dalle incorniciature che inquadrano gli affreschi, veri e propri boccascena da teatro. Il terzo affresco del coro dei frati si trova sotto quello raffigurante San Sebastiano che rimprovera Diocleziano, in posizione simmetrica rispetto alla porta d’entrata nel coro, e raffigura un monaco che entra in una finta porta, sulla cui soglia si trova un altro giovane monaco. Il valore illusionistico di questa immagine costituisce un’importante anticipazione di quanto, di lì a pochissimi anni, Paolo dipingerà nella villa dei Barbaro a Maser, dove spesso appaiono figure che si affacciano da porte dipinte o inquadrate in prospettive illusionistiche. Egualmente splendida per l’invenzione e per il valore illusionistico è la scena del primo Martirio di San Sebastiano, condannato da Diocleziano ad essere ucciso a colpi di freccia. La scena è composta dall’immagine di un Arciere che scaglia la sua freccia attraverso il vano della chiesa, fino a colpire sulla parete opposta San Sebastiano, legato alla colonna, sopra cui precipita dal cielo l’angelo che gli porge la palma del martirio.

I dipinti dell’organo e gli affreschi della parte bassa della navata. Mentre ancora era impegnato nell’esecuzione degli affreschi, Paolo consegna anche il disegno della cassa dell’organo, la cui costruzione, per opera di Francesco Fiorentino, inizia alla fine di ottobre dello stesso 1558, e nel volgere di due anni, il primo aprile del 1560, consegna anche i dipinti destinati a decorarlo. Le portelle dell’organo, chiuse, mostrano la Presentazione di Gesù al Tempio, mentre sul retro, visibile quando lo strumento è in uso, appare la scena della Probatica piscina. Si tratta di immagini grandiose, che si qualificano per il ricco cromatismo, animato da fulgori improvvisi, e per la imponenza manieristica delle figure, colte nelle più variate posizioni. Ma soprattutto appare evidente come in queste opere Paolo abbia portato a conclusione la sua ricerca sull’interpretazione scenografica dello spazio, che si fa qui profondissimo, grazie alla fuga prospettica degli elementi architettonici che appaiono nei dipinti. Anche questa è un’innovazione fondamentale per Venezia, dove fino ad allora prevaleva la tradizione illusionistica parietale, che lo stesso Paolo aveva adottato negli affreschi dipinti nel 1551 nella villa dei Soranzo a Treville presso Castelfranco. Completano la decorazione dell’organo la delicata immagine della Natività, posta sul poggiolo, aperta a destra in un paesaggio di amplissimo respiro, accompagnata dalle due eleganti figure di Virtù eseguite a chiaroscuro, in passato assegnate a Benedetto, ma invece, più probabilmente, di mano dello stesso Paolo, che spesso ha utilizzato questa tecnica, più grafica che pittorica, per completare i propri apparati decorativi. Sui lati dell’organo appaiono infine le figure di San Girolamo (a sinistra) e del Beato Pietro Gambacorta (a destra), rispettivamente il fondatore ideale e quello reale dell’ordine dei Girolamini. Immediatamente successivi alla decorazione dell’organo sono i dipinti che lo contornano e che si estendono alla parte inferiore delle pareti della navata, eseguiti non ad affresco, ma con una tecnica particolare che prevede l’uso di tempere grasse, che avrebbero dovuto conferire loro una lucentezza di tinte simile a quella delle tele. Ma proprio la tecnica sperimentale usata da Paolo ha provocato il progressivo decadimento delle immagini, tant’è che le quattro figure delle Sibille, degli otto Apostoli, di David e di Isaia appaiono ora assai poco leggibili, soprattutto per quel che riguarda la cromia.

Il presbiterio e l’altar maggiore. Un documento risalente al 1561 attesta che in quell’anno i frati presero la decisione di apportare delle modifiche alle finestre del presbiterio della chiesa, “come et quando ordinerà m. Paolo”: evidentemente è questo il momento in cui il pittore mette mano alla decorazione ad affresco della cupola e delle pareti retrostanti l’altare del presbiterio, proponendo anche alcune modifiche alla sua struttura muraria, in particolare delle finestre, certo per poter fruire di uno spazio maggiore o più uniforme. Purtroppo queste opere sono andate praticamente perdute, dato che se ne salvano solo le immagini a chiaroscuro di San Paolo eremita (a sinistra) e di Sant’Onofrio (a destra), a fianco dell’altare, ridotte però allo stato larvale. Concluso il lavoro di decorazione ad affresco della cappella maggiore, l’attività di Paolo per San Sebastiano subisce un’interruzione piuttosto lunga, fino al 1565, quando viene posta in opera la pala dell’altar maggiore, che raffigura La Madonna col Bambino in gloria tra angeli musicanti, adorata dai Santi Rocco, Sebastiano, Pietro Francesco, Caterina ed Elisabetta. Il ricco altare maggiore che la ospita e sorge isolato al centro del presbiterio fu costruito da Salvatore Tagliapietra su progetto dello stesso Paolo e venne completato nel febbraio del 1561; finanziatrice della costruzione fu Elisabetta Soranzo e questo spiega la presenza, tra quanti assistono adoranti all’apparizione della Vergine, della Santa che reca il suo nome, nella quale probabilmente Paolo ha ritratto la nobildonna; egualmente pare che la presenza di San Pietro sia legata al fatto che la realizzazione della tela venne finanziata da Pietro Mocenigo. Un altro ritratto, se dobbiamo credere all’antica tradizione che risale alle fonti cinquecentesche, è ravvisabile nella figura di San Francesco, cui Paolo avrebbe conferito le fattezze di fra’ Bernardo Torlioni, priore del convento. Anche la pala per San Sebastiano segna, rispetto alle altre opere veronesiane di analoga destinazione chiesastica, parziali innovazioni: la Vergine non appare assisa ieraticamente in trono, come, ad esempio, nella pala per San Zaccaria, di un anno precedente, ma su una nube luminosa e i santi non si trovano all’interno di una cappella, ma all’aperto, contro un ampio paesaggio; la partitura architettonica, limitata alle due colonne scanalate, non riveste alcuna rilevanza scenografica; anche il cromatismo, pur assai ricco, su toni caldi, appare un poco modificato, soprattutto a causa del gioco della luce, che, soprattutto nella zona inferiore, si incentra sui crinali delle pieghe delle vesti, accentuando gli effetti cangianti, ma rendendo più cupe le zone in ombra. Di qualche anno successivi sono invece i due teleri posti ai lati dell’altar maggiore, ancora incentrati su episodi della vita del santo titolare della chiesa. A sinistra rispetto all’altare appare la tela raffigurante I Santi Marco e Marcelliano condotti al martirio: i due giovani gemelli vengono catturati dai soldati romani e condotti al martirio; la vecchia madre, disperata, tenta di trattenerli, mentre Sebastiano, vestito della lucente corazza di centurione, li conforta. Tutt’attorno una folla composita assiste all’evento, mentre in alto appare un angelo in volo. La seconda tela mostra invece il Martirio di San Sebastiano, ripetendo la scena già presente negli affreschi del coro dei frati: ma, essendo quello di San Sebastiano un convento di clausura, il coro dei frati non poteva essere frequentato dai fedeli e quindi, nella chiesa, veniva a mancare un episodio fondamentale della vita del santo titolare, quello appunto del suo martirio. Il giovane cristiano, spogliato dell’armatura, si trova al centro della tela, e gli sgherri dell’imperatore lo stanno legando per poi finirlo a bastonate; tutt’attorno si dispone una gran folla di curiosi che assistono all’evento, che avviene davanti alla reggia dell’imperatore, configurata come un alto loggiato aperto su un cielo percorso da nubi temporalesche.

Le altre opere di Paolo nella chiesa. Paolo dipinse varie altre opere per la chiesa e per il convento di San Sebastiano, alcune delle quali sono andate perdute: le fonti ricordano infatti che egli aveva realizzato il gonfalone della chiesa, un’immagine di San Gerolamo eremita esposto nell’andito che serve a raggiungere la sacrestia e alcuni affreschi nel chiostro. Inoltre, per il refettorio del convento, ha realizzato intorno al 1570 la grande Cena in casa di Simone che nel 1817 è stata trasferita alla Pinacoteca di Brera a Milano. Due altri suoi dipinti più tardi si trovano invece tuttora nella chiesa. Il primo, ora collocato sull’altare della cappella già della famiglia Grimani, la terza di sinistra, raffigura la Madonna col Bambino, Santa Caterina e frate Michele Spaventi. Lo stile del dipinto, risalente al 1578, è prossimo, nella finezza dell’esecuzione e nella notevole qualità coloristica, a opere famosissime come il Ratto d’Europa di Palazzo Ducale o le quattro Allegorie d’Amore della National Gallery di Londra, egualmente risalenti alla fine dell’ottavo decennio. Agli esordi del decennio successivo va invece riferita la pala con la Crocifissione presente sul terzo altare di destra, dedicato ai defunti, caratterizzata da colori meno squillanti e da quella sottile vena malinconica che ritroviamo costantemente nelle opere tarde di Paolo, toccate oramai dalla nuova religiosità derivata dal Concilio di Trento. Non da tutti condivisa è invece l’attribuzione all’artista degli affreschi a monocromo assai deperiti sul soffitto della cappella Grimani, con le immagini del Bacio di Giuda, della Preghiera nell’Orto, della Deposizione nel sepolcro e della Resurrezione e del Battesimo di Cristo esposto nella terza cappella di sinistra.