25.Paolo Veneziano e i pittori veneti del trecento. Ai suoi esordi, nel XIV secolo, la pittura veneziana, ancora saldamente legata alla tradizione bizantina e soprattutto paleologa, si apre progressivamente alle suggestioni moderne e gotiche della pittura di terraferma. Caratteri più vicini alla pittura centroitaliana, piuttosto che a quella veneto-bizantina sono evidenti nelle Genealogie di Cristo, storie di Cristo e della Vergine, opera dalla complessa articolazione simbolica che, soprattutto nelle storie dell’anta di destra, mostra qualche influsso giottesco. Più direttamente rapportabili alla tradizione bizantina, ma tuttavia con un linguaggio proprio dell’ambiente artistico veneziano, sono la Madonna col Bambino, Pietà e Santi e la Madonna col Bambino, assegnabili a pittore greco-veneto del XIV secolo, mentre più tarda, del principio del XV secolo, appare la Madonna col Bambino e angeli reggicorona di artista cretese-veneziano vicino a Andrea Rizzo da Candia, nella quale il tentativo di rappresentare prospetticamente il trono e il plasticismo delle figure della Vergine e del Bambino, di tipo assolutamente occidentale, riconducono all’area veneta. Una svolta decisamente innovatrice alla pittura lagunare viene data da Paolo Veneziano, il più importante artista del primo Trecento veneziano e una delle figure più significative del mondo gotico padano, che seppe elaborare un linguaggio personalissimo in equilibrio tra il mondo bizantino e le nuove istanze gotiche, anche se con una ripresa di carattere neobizantino nella fase più tarda della sua attività. E’ a questo momento che vanno assegnati i due pannelli con i Santi Agostino, Pietro, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, Paolo, Giorgio, parti laterali di un polittico ora smembrato di cui si è perduto il settore centrale, provenienti dalla Parrocchiale di Grisolera (S. Donà di Piave). Il modulo allungato delle figure è fedele agli schemi iconografici bizantini, ma il colore vivacissimo, l’elaborazione dei decori delle vesti e l’attenzione dell’artista nel costruire le figure, dai volti arguti e dalle eleganti movenze, indicano un’ormai avvenuta adesione alla cultura gotica. Le diverse componenti culturali dell’artista emergono anche nell’immagine di San Giovanni Battista , frammento di composizione più ampia, proveniente probabilmente dall’antica cattedrale veneziana di San Pietro di Castello, dove al bizantinismo del volto si associano una vivacità di colori e un’eleganza propri del Gotico. Vicino a Paolo Veneziano appare l’autore del San Pietro, dal risentito plasticismo, mentre richiami ai modi di Lorenzo Veneziano, ma anche conoscenza della cultura toscana, evidenzia il pittore del San Giovanni Battista rappresentato entro un’edicola gotica.
26.Lorenzo Veneziano. La personalità artistica più significativa del secondo Trecento a Venezia è Lorenzo Veneziano, la cui formazione avvenne probabilmente nell’ambito della bottega di Paolo Veneziano. Sensibile alle suggestioni di Paolo, l’artista elabora tuttavia un linguaggio decisamente gotico, in cui grande importanza assume il mondo figurativo della terraferma, soprattutto padana con qualche eco nordica, che si coniuga armoniosamente con l’eredità bizantina in una grande eleganza delle linee e in una singolare limpidezza cromatica. Nel comparto centrale di polittico, perduto nelle altre sue parti, con i Santi Giuliano (?), Marco, Bartolomeo; tre storie di san Nicolò; i santi Gabriele, Orsola e Lucia egli rivela una personalità del tutto autonoma sia nell’uso dei colori sia nella costruzione delle scene, soprattutto quelle con le Storie di san Nicolò, caratterizzate da grande immediatezza e vivacità. Originale dell’epoca è anche la preziosa inquadratura in forma di trifora gotica. Nel dipinto con Gesù consegna le chiavi a san Pietro, datato 1369 more veneto e quindi 1370, anch’esso parte di un polittico le cui tavole della predella con Storie dei santi Pietro e Paolo sono oggi conservate agli Staatliche Museen di Berlino, l’artista imposta l’episodio in modo monumentale, con una spazialità accentuata dal trono marmoreo circondato di angeli e di santi. La ricchezza della veste e del manto di Gesù, che ricade in morbide pieghe in un gioco di chiaro-scuri, parla ormai un linguaggio gotico, nel quale confluiscono elementi della terraferma padana e emiliana. Recenti interventi di pulitura hanno restituito a queste opere i loro splendenti colori di smalto che costituiscono una delle sigle inconfondibili dell’artista. Nella Crocifissione e santi di un pittore veneto-bizantino ( III-IV decennio sec. XIV) l’iconografia di osservanza bizantina si addolcisce nell’espressione più popolaresca, e quindi più veneziana, del volti. I due pannelli con i quattro Santi Giovanni Battista, Paolo, Pietro e Andrea già attribuiti all’ambito di Lorenzo Veneziano, vengono assegnati ora a un suo seguace, Jacobello di Bonomo, la cui attività è documentata tra il 1375 e il 1385.
27.Il Gotico fiorito. Il Gotico ha conosciuto a Venezia una stagione felice e duratura, soprattutto nell’architettura civile e privata, più che religiosa, e nella costruzione della forma e dell’immagine della città. Ne sono testimonianza i due frammenti di decorazione a fresco, scoperti nel corso di alcuni lavori in una casa a San Giuliano, vicino a san Marco, nei primi anni del Novecento. Strappati e applicati su pannello, furono acquistati dal Museo. Oltre che per la loro rarità i frammenti sono insostituibile documentazione per la storia del gusto e dei modi di connotare lo spazio domestico nel Trecento a Venezia. Essi rappresentano quattro figure allegoriche di Virtù, La Carità, La Costanza e La Speranza su uno (cl. I, 1918) e La Temperanza sull’altro (cl. I, 1919). Contrassegnate dai loro emblemi, esse siedono su scranni gotico-fioriti con edicolette e piccole sculture. Il linguaggio pittorico, pur con inflessioni venete soprattutto nel colore, dichiara origini continentali riconducibili all’ambiente padovano. Per ragioni ambientali e di conservazione, pur appartenendo a epoca anteriore, tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, è esposta in questa sala la Cassa della beata Giuliana di Collalto, proveniente dalla chiesa dei santi Biagio e Cataldo alla Giudecca. All’interno del coperchio appaiono, infatti, le immagini della santa, morta nel 1262, e dei due santi titolari del monastero, opera probabilmente di un artista locale che si connota per un espressionismo tutto occidentale legato a un ambito culturale non strettamente bizantino. Assai più tarde sono le decorazioni piuttosto rozze del fronte della cassa. La sala ospita anche una serie di sculture dell’epoca: un frammento di portale proveniente da Palazzo Bernardo a San Polo, una bella transenna marmorea gotica e tre pinnacoli in pietra d’Istria, forse parti di un paliotto o di un altarolo, che evidenziano influssi francesi. Vero capolavoro è la piccola statua marmorea del doge Antonio Venier di Jacobello dalle Masegne, l’artista che realizzò, tra l’altro, anche l’Iconostasi della Basilica di San Marco. Anziché di una rappresentazione generica si tratta di un ritratto vero e proprio carico di forza interiore e di raccolta intensità.
28.La pittura Gotica. I pittori contemporanei e successivi a Lorenzo Veneziano, pur nella severa persistenza di accenti neobizantini, evidenziano nella vasta produzione di dipinti su tavola una compattezza plastica, una monumentalità e un affettuoso naturalismo che indicano un aggiornamento sui modelli di terraferma. Nella Croce processionale sagomata e lobata con gusto gotico, le rappresentazioni del Cristo sulle due facce mostrano tuttavia di essere chiaramente debitrici della cultura bizantina e dei mosaici marciani. Il linguaggio di Lorenzo Veneziano influenza certamente il “Maestro della Madonna Giovannelli” che nell’Incoronazione della Vergine si caratterizza però per una maggiore corposità e un segno più secco e incisivo di contorno. Caratteri neobizantini accompagnati da accenti gotici qualificano le opere di Federico Tedesco, autore dell’Allegoria della Redenzione, opera dallo schema complesso e composito, e dell’ancona a comparti nei quali compaiono san Giovanni Battista e san Paolo, l’Annunciazione e, nella cimasa, il Transito della Vergine. Nel panorama della pittura veneziana di fine secolo una posizione particolare, per immediatezza espressiva e intonazione generale di diffusa dolcezza, occupa l’anonimo artista al quale, in virtù dell’opera conservata al Correr , è stato attribuito il nome convenzionale di “Maestro del dossale Correr”. Ad artista riminese va invece assegnato il dipinto con la Madonna tra san Paolo e San Giovanni che ha trovato ora la sua giusta collocazione all’interno del catalogo del cosiddetto “Maestro dell’Arengo” Stefano Veneziano, Jacobello di Bonomo e i pittori gotici. Fra gli artisti attivi a Venezia negli ultimi decenni del Trecento una singolare personalità è Stefano di sant’Agnese, anche noto come “plebanus”, cioè parrocchiano della chiesa veneziana intitolata alla santa. Egli emerge fra gli artisti coevi, che ripropongono, in una traduzione più corsiva, l’aulico linguaggio di Paolo Veneziano e di Lorenzo Veneziano, per la delicatezza della forma e per l’eleganza del ductus lineare che indicano una acquisita consapevolezza dei modi gotici con aperture, anche se timide, alle correnti del Gotico Internazionale. Nella Madonna in trono col Bambino, datata 1369 more veneto, e quindi 1370, nella ricchezza delle ornamentazioni e nella definizione architettonica del trono è evidente il riferimento alle opere di Paolo Veneziano, ma il rinsaldarsi delle forme in una costruzione piramidale e la naturalezza dei volti dall’espressione affettuosa sembrano evidenziare un solido rapporto con la pittura di terraferma. Grande vigore plastico caratterizza il San Cristoforo del 1385, ultima opera a noi nota di Stefano, parte di un polittico originariamente nella Scuola dei Forneri alla Madonna dell’Orto, del quale i tre altri comparti si trovano ora nella chiesa di San Zaccaria. Legato alla tradizione appare anche Jacobello di Bonomo del quale è stata riconosciuta la paternità nelle due tavole con i Santi Pietro e Andrea e Giovanni Battista e Paolo, parti di un più vasto polittico, apparentemente bizantini per il rinnovato allungamento delle membra e per la severità dei volti, quasi accigliati nel san Pietro e nel san Paolo, ma in realtà plasticamente delineati nella loro monumentalità accompagnata da raffinati elementi decorativi.
29.Il primo Quattrocento e il Gotico Internazionale. Nel primo Quattrocento la cultura figurativa di matrice bizantina rimane, a Venezia, patrimonio di attardati e poco interessanti pittori. L’espansione della città nell’entroterra favorisce contatti e scambi con altre capitali italiane e europee con importanti conseguenze anche sul piano culturale. Inoltre nella città lagunare, nel cantiere di Palazzo Ducale, sono attivi artisti quale Gentile da Fabriano, Michelino da Besozzo e Pisanello che contribuiscono in modo determinante all’introduzione della stagione del Gotico Internazionale. A tale temperie culturale appartengono la tavola dipinta sulle due facce con Angeli musicanti sul recto e San Cosma sul verso, probabile portella di un trittico, da attribuire a un seguace di Michelino da Besozzo; la Natività di artista anonimo, racchiusa in un fregio a pastiglia, nella quale sembra di poter individuare influssi di Jacobello del Fiore e di Michele Giambono. Caratteristici di queste opere sono il gusto sontuoso e il raffinato apparato decorativo che si risolve talora in complessi geroglifici. Nuovi e più articolati influssi protorinascimentali connotano invece le tavolette del pittore veneziano Francesco de’ Franceschi con il Martirio e la Morte di san Mamante, parti di un polittico ora smembrato in differenti collezioni, nelle quali si colgono echi della lezione del Giambono da un lato e di Alvise Vivarini dall’altro. Il Gotico Internazionale Il linguaggio pittorico del Gotico Internazionale a Venezia ha uno dei suoi più eminenti interpreti in Michele Giambono. Oltre che pittore fu anche mosaicista, impegnato nella creazione dei cartoni per la cappella della Madonna dei Mascoli nella basilica di San Marco. Particolarmente sensibile ai modi di Gentile da Fabriano e di Pisanello esibisce nella Madonna col Bambino una grande eleganza compositiva e decorativa, sottolineata da una raffinata tavolozza che recenti restauri hanno messo in luce al meglio. Altro esemplare interprete del Gotico Internazionale è Jacobello del Fiore, autore nel 1415 di un Leone marciano per il Magistrato alla Bestemmia ai Camerlenghi a Rialto e nel 1421 del Trittico della Giustizia, oggi alle Gallerie dell’Accademia, per il Magistrato del Proprio a Palazzo Ducale. La Madonna col Bambino, riconosciuta come una delle opere più rappresentative del pittore, si caratterizza per l’elaborazione del manto azzurro rabescato a fiori blu mentre bulinature ottenute con punzoni a rosetta decorano i bordi dorati delle vesti e delle aureole. E’ comunque anche nell’aristocratica ma dolce riservatezza dell’intimo abbraccio che lega la Vergine al Bambino che si evidenzia l’adesione dell’artista al gotico-cortese e, nella fattispecie, ai modi di Gentile da Fabriano. Utili termini di paragone tra il linguaggio “internazionale” veneziano e quello dei pittori centroitaliani sono i Santi Ermagora e Fortunato, parti laterali di un trittico che comprendeva una Madonna col Bambino, ora in collezione privata a Parigi, di Matteo Giovanetti, pittore viterbese, aiuto di Simone Martini, che succedette al Maestro nella decorazione del Palazzo Papale di Avignone.
Al “Maestro dei cassoni Jarves”, toscano della prima metà del XV secolo, vanno invece attribuiti i due frontali di cassone (cl. I, 516) con le Storie di Alatiel, tratte dal Decamerone di Giovanni Boccaccio.
30. Cosmè Tura. Tra le personalità di maggior prestigio a Ferrara nel medio e tardo Quattrocento grande rilevanza ha Cosmè Tura che seppe riunire nel suo personalissimo stile le principali influenze artistiche presenti nella città padana, dalla monumentale volumetria di Piero della Francesca, alle innovazioni colte e archeologiche della scuola di Padova, città nella quale pare possibile abbia soggiornato verso la metà degli anni Cinquanta, all’attenzione per il colorismo nordico mutuato da Rogier van der Weyden, di cui Lionello d’Este, Signore di Ferrara, possedeva alcuni dipinti. Nella Pietà del Correr la critica ha unanimemente riconosciuto una delle più significative opere del Tura sia sul piano pittorico, sia su quello compositivo, evidenziandone il carattere monumentale pur nelle ridotte dimensioni che sembrano indicare un suo utilizzo nell’ambito della devozione privata. Iconograficamente l’immagine è da collegarsi ai Vesperbilder tedeschi, gruppi scultorei che, esibendo il Cristo morto in grembo alla Madre, sono connessi ai Vespri del Venerdì santo e quindi alla Liturgia della Passione. Opera di intensa poesia e di struggente pathos,le indagini riflettografiche condotte nel corso del suo restauro, alcuni anni or sono, hanno messo in luce un disegno soggiacente fitto e preciso di eccezionale qualità. A un pittore molto vicino al Tura va assegnato il Ritratto d’uomo condotto con incisività e grande accuratezza dei particolari che, ancora una volta, rinviano a un’ascendenza fiamminga.
31.I Ferraresi. La pittura ferrarese del Quattrocento ebbe grande importanza per la formazione dei Maestri veneziani e la collezione di Teodoro Correr ne conserva significativi esempi. Probabilmente a Antonio Leonelli da Crevalcore, pittore bolognese ma “ferrarese” nelle sue espressioni artistiche, è da attribuire il Ritratto di giovane , rappresentato in colori smaglianti e vivissimi entro un riquadro di marmi policromi, contro una tenda verde parzialmente aperta su una citta di mare. La presenza del libro di preghiere sul davanzale con l’anello e la perla hanno fatto supporre che il dipinto sia uno degli elementi di un dittico matrimoniale. All’incisività del ritratto si accompagna la precisione miniaturistica del luminoso paesaggio. Altrettanto incisivo è il Ritratto femminile, fortemente influenzato dalla ritrattistica di Pisanello, opera di un pittore ferrarese della metà del secolo, forse Angelo Maccagnino (Angelo di Pietro da Siena). Ancora in ambito ferrarese va collocata la Morte di san Girolamo (cl. I, 51), dalla rarefatta atmosfera, che fa serie con due altre tavolette, oggi a Brera, provenienti dalla Scuola veneziana della Carità. Anche Padova fu centro di riferimento fondamentale per i pittori veneziani che hanno guardato alle novità della scuola dello Squarciane e, soprattutto, a Andrea Mantenga. Seguace del Mantenga è Pietro da Vicenza, autore del Cristo alla colonna, mentre la Madonna col Bambino, che recenti restauri hanno riportato all’originario, prezioso cromatismo, è opera di Giorgio Chiulinovič, detto lo Schiavone, formatosi alla scuola dello Squarciane. Legato alla cultura squarcionesca, ma sensibile anche ai modi di Piero della Francesca, e quindi alle suggestioni toscane, appare Francesco Benaglio, veronese, autore della Madonna col Bambino sullo sfondo di un ampio paesaggio collinare, di modello pierfrancescano tradotto con linearismo incisivo e marcato.
Bartolomeo Vivarini e Leonardo Boldrini
Con Bartolomeo Vivarini, che, con il fratello maggiore Antonio, con il quale firmò molte opere, fu a capo di un’attivissima bottega che operò per molti anni a Venezia, si entra in ambito prettamente veneziano. L’artista è uno dei protagonisti del rinnovamento della pittura veneziana nel momento di passaggio dalla cultura tardogotica a quella rinascimentale. Sensibile alle innovazioni introdotte a Padova dal Mantenga e dai seguaci dello Squarciane, tratta in modo moderno, pur sul fondo d’oro, anche un tema profondamente legato alla tradizione come la Madonna col Bambino. Ne sono un esempio le due belle interpretazioni del Correr, più ritoccata e ampiamente ridipinta sullo sfondo l’una, meglio conservata l’altra, dai volti dolcissimi, velati da una contenuta mestizia. Alla scuola del Vivarini si formò anche Leonardo Boldrini, muranese, che ebbe tuttavia presente la lezione di Lazzaro Bastiani e di Giovanni Bellini. A Bartolomeo Vivarini fa riferimento l’artista nella Madonna tra san Girolamo e sant’Agostino e, infatti, l’immagine della Vergine appare come una ripresa letterale di quella del polittico di Ca’Morosini di Bartolomeo, oggi conservata alle Gallerie dell’Accademia. Nelle due più tarde tavolette con il Presepe e la Presentazione al Tempio, dalla nitida impostazione prospettica è, invece, evidente il riferimento al Bastiani.
32.Sala delle quattro porte. La Sala delle Quattro Porte è uno dei pochi ambienti delle Procuratie Nuove che ha conservato sostanzialmente intatta la struttura originale, risalente alla fine del XVI e all’inizio del XVII secolo. Unica aggiunta al progetto dello Scamozzi sono le due porte laterali ora murate, probabilmente risalenti al ‘700; egualmente settecenteschi sono i due grandi lampadari di fabbrica muranese. La sala è arredata con mobili e sedie del XVI e XVII secolo e con alcune sculture lignee quattrocentesche.
33.Pittori fiamminghi del XV secolo. Il Museo Correr possiede una collezione molto ricca di dipinti fiamminghi, per la maggior parte raccolti nell’Ottocento da Teodoro Correr, a dimostrazione di quanto intensi siano stati, nel corso dei secoli, i rapporti tra Venezia e il Nord Europa. Emerge fra tutti i dipinti l’Adorazione dei Magi, opera firmata di Pieter Brueghel il giovane. L’opera è una delle numerose edizioni per le quali il pittore trasse ispirazione dal dipinto di analogo soggetto, oggi conservato in collezione privata a Winterthur, del padre, Pieter Brueghel il vecchio, apportandovi tutta una serie di varianti. A un modo di comporre preciso e analitico, con una tecnica miniaturistica tale che alcuni particolari sono individuabili solo con la lente d’ingrandimento, corrisponde un disegno soggiacente altrettanto puntuale, emerso dalle analisi riflettografiche eseguite nel corso del recente restauro dell’opera. Fra gli altri dipinti, i cui autori sono, per il momento, ancora destinati all’anonimato, ma che si distinguono per la minuziosa resa dei particolari propria dei pittori fiamminghi, particolarmente significativi sono la Madonna col Bambino, attribuita dibitativamente a Dieric Bouts e le due portelle con l’Annunciazione sul recto e il Profeta Zaccaria (?) e san Giuseppe sul verso, attribuite di recente a un pittore fiammingo intorno al 1490.
34.Antonello da Messina. Antonello da Messina giunse a Venezia nell’inverno tra il 1474 e il 1475 per rimanervi fino all’autunno del 1476. Le fonti veneziane documentano la sua presenza e i suoi rapporti con il patrizio Pietro Buon, che gli commissionerà la grande pala di San Cassiano, oggi frammentaria al Kunsthistorisches di Vienna. L’attività veneziana del pittore fu determinante per l’avvio della grande stagione rinascimentale della pittura veneziana. Dal suo lavoro, nel quale confluiscono elementi fiamminghi e toscani, gli artisti veneti appresero la tecnica della pittura a olio, anche se qualche dubbio in merito permane ancor oggi, e la corretta applicazione del codice prospettico mentre Antonello, a sua volta, trasse dal suo soggiorno nella città lagunare un nuovo interesse per il colore che arricchì e ammodernò il suo linguaggio espressivo. La Pietà è l’unica opera rimasta a Venezia a testimoniare il passaggio dell’artista in città. Essa originariamente, come attestano le fonti, era collocata nella sala del Consiglio dei Dieci a Palazzo Ducale. Benché mutilo e danneggiato da precedenti restauri, il dipinto mantiene intatto il fascino e la potenza del linguaggio figurativo di Antonello. Sul piano iconografico l’opera documenta l’unica interpretazione da parte del messinese del tema della Pietà, comune invece nell’area mategnesca e belliniana. Particolarmente significativo appare il paesaggio dello sfondo nel quale è stata individuata la chiesa messinese di San Francesco. A documentare lo stretto rapporto tra Antonello e la contemporanea pittura fiamminga contribuiscono altri due capolavori della sala, la Crocifissione di Hugo van der Goes, opera, nella sua sobrietà, di contenuto altamente drammatico e intenso; e la Madonna col Bambino di Dieric Bouts, dove Gesù esibisce una coroncina con le perle della nascita virginale e il corallo del futuro sacrificio, preannunciato anche dal funebre lenzuolino.
35.Pittori fiamminghi e tedeschi. I dipinti di questa sala sono opera di artisti fiamminghi e tedeschi attivi tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo. All’ambito del fiammingo Paul Coeck è stata recentemente attribuita la tavola con I piaceri del figliuol prodigo , soggetto ambientato all’esterno di una taverna come denunciano la tavoletta affissa all’albero, sulla quale sono state segnate le fasi delle giocate, i bicchieri di vino e la frutta sul tavolo. A un seguace anversese di Bosch va assegnato il dipinto con le Tentazioni di sant’Antonio e, in effetti, si tratta di un pastiche, che da Hieronymus Bosch trae ispirazione, ricco di elementi simbolici quali la grande testa umana dalla bocca spalancata, il gruppo delle nude, l’offerta di vasellame d’oro e d’argento da parte del diavolo a significare rispettivamente la porta dell’inferno, le tentazioni della carne, le tentazioni della vanità e della ricchezza. Ad un anonimo autore tedesco, verso il 1529, si deve la bella Adorazione dei Magi a cui la recente pulitura ha restituito l’originale cromatismo, mentre il Cristo risorto che reca la sigla apocrifa di Lucas Cranach sembra piuttosto attribuibile a un suo seguace. La raffinatezza del ritrattista tedesco Barthel Bruyn il Vecchio emerge nel Ritratto di gentildonna , nel quale all’eleganza dell’abito e alla preziosità dei gioielli e della cintura, che indicano una posizione sociale elevata, si contrappone il teschio a ricordare il carattere effimero dei valori mondani. Le due tavole con Santa Barbara e Santa Caterina (dep. Gallerie dell’Accademia) sono parti di un polittico smembrato tra Venezia, Modena e Lüttich, opera di Jos Amman von Ravensburg (Giusto d’Alemagna), pittore proveniente da Ravensburg, tra l’alto Reno e il lago di Costanza, e attivo anche a Genova dove è documentato nel 1451. Resti di un polittico disperso sono anche la Natività (cl. I, 242) e la Presentazione al tempio di Rueland Frueauf, mentre il tedesco Hans Fries è autore della Vergine col Bambino e gloria di angeli, parte centrale di un altarolo le cui valve laterali, assai guaste, sono conservate nei depositi del museo.
36.I Bellini. Il panorama pittorico veneziano del Quattrocento ha dei protagonisti di prima grandezza nei pittori della famiglia Bellini: Jacopo, il padre, e i suoi due figli, Gentile e Giovanni. Jacopo, dopo la sua formazione con Gentile da Fabriano, a Venezia tra il 1408 e il 1414 con l’incarico di eseguire affreschi di soggetto storico nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, seguì il maestro a Brescia e a Firenze, città che favorì la sua adesione al rinnovato clima del primo Rinascimento. A Jacopo va attribuita, intorno al 1450, la Crocifissione , parte di una predella di polittico, proveniente forse dal convento di San Zaccaria, che comprendeva anche l’Adorazione dei Magi e la Discesa di Cristo al Limbo, ora rispettivamente alla Pinacoteca Nazionale di Ferrara e al Museo Civico di Padova. Di impostazione tradizionale, il dipinto presenta il Cristo crocifisso al centro; alla sua destra Maria che sviene tra le pie donne sullo sfondo di una schiera di soldati; sul lato opposto, nel suo atteggiamento di dolore, san Giovanni Evangelista e, inginocchiato, Longino che riconosce il Salvatore. L’orizzonte basso isola la rappresentazione del Cristo contro il cielo, al di sopra dell’azione e dell’emozione degli astanti. Gentile, il figlio maggiore di Jacopo, è autore del Ritratto del doge Giovanni Mocenigo che, benché incompiuto, è una delle più significative testimonianze della sua abilità di ritrattista, per la quale ebbe grande fama presso i contemporanei, tanto che nel 1479 fece parte della missione diplomatica a Costantinopoli, dove dipinse il Ritratto del sultano Maometto II, oggi a Londra, alla National Gallery. Benché facilmente riconoscibile, il doge, ritratto di profilo non rivela nessuna caratteristica psicologica individuale, dovendo rappresentare essenzialmente l’alta funzione ricoperta e quindi il simbolo della Serenissima. Giovanni Bellini, figlio minore di Jacopo, domina la scena lagunare del secondo Quattrocento. Formatosi alla scuola del padre, si rese ben presto indipendente e fu a capo di una operosissima bottega, attiva anche nei primi quindici anni del XVI secolo. Sensibile al messaggio del cognato, Andrea Mantegna e attento alle esperienze di Antonello da Messina, Giovanni seppe elaborare un linguaggio di grande raffinatezza e di solido spessore culturale. All’attività giovanile del pittore, tra il 1453 e il 1455, appartiene la Crocifissione. Uno stacco preciso rispetto al retrostante paesaggio minutamente descritto porta in primo piano la rappresentazione drammatica del sacrificio, che resta tuttavia un evento storico inserito nella vita quotidiana. La monumentalità e il volume plastico delle figure, pur nelle dimensioni ridotte della tavola che la qualificano come dipinto devozionale, mostrano evidenti caratteri mantegneschi. Coeva è anche la Pietà che, nella sua suggestiva composizione, ricorda il rilievo bronzeo di analogo soggetto eseguito da Donatello per l’altare maggiore della Basilica del Santo, a Padova, tra il 1447 e il 1448. Più o meno agli stessi anni appartiene la Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor, tavola mutila nella parte superiore, probabilmente pala d’altare nella chiesa veneziana di San Salvatore o di San Giobbe, dato che in ambedue le fonti ricordano un dipinto del Bellini con questo soggetto. Più tarda, intorno al 1470–75 è la Madonna col Bambino anche detta Madonna Frizioni dal nome dell’ultimo proprietario che la donò al museo nel 1919. Benché rovinato dal trasporto dalla tavola alla tela e rifatto nella zona del cielo, il dipinto testimonia la grande libertà creativa di Giovanni che rappresenta la Vergine, in modo del tutto inedito all’epoca, con un vestito bordeaux, un manto rosa e un velo che copre solo in parte, anziché interamente, il capo, fermato da un gioiello. Maria trattiene tra le sue braccia il Bambino dall’espressione tristemente assorta, seduto sul parapetto, simbolo al tempo stesso del sarcofago nel quale sarà sepolto il Crocifisso e dell’altare dove la sua morte e resurrezione vengono celebrate nella Messa. Alla bottega di Giovanni vanno assegnati i due piccoli dipinti con il Ritratto di giovane santo con corona d’alloro e con il Doge Pietro Orseolo e la dogaressa Felicita Malipiero, unico frammento conservato della predella di un polittico originariamente nella chiesa di San Giovanni Battista alla Giudecca. Le opere dei Bellini, che sono state tutte sottoposte a interventi di restauro alcuni anni or sono, hanno rivelato, alle indagini riflettoscopiche, un accurato disegno sottostante.
37.Alvise Vivarini e il suo tempo. Altri artisti contemporanei di Giovanni Bellini, pur sensibili alla lezione del maestro, conducevano la loro attività su percorsi autonomi. Il Sant’Antonio da Padova a cavalletto, con cornice originale, è opera di Alvise Vivarini, figlio di Antonio e nipote di Bartolomeo, ultimo esponente quindi della famiglia di pittori che contribuirono a diffondere a Venezia il linguaggio padovano e mantegnesco. Di grande delicatezza e limpidezza cromatica e di raffinata eleganza nel disegno, il dipinto è replica autografa di parte di un polittico, oggi alle Gallerie dell’Accademia. Vicino ad Alvise appare Giovanni di Martino da Udine con la sua Sacra Conversazione, firmata e datata 1498, mentre nell’orbita belliniana gravitano Benedetto Diana e Pietro Duia, autori rispettivamente del Cristo in Pietà e della Madonna col Bambino, due santi e donatori e della Madonna col Bambino. Sensibile alla lezione di Alvise Vivarini appare anche Jacopo da Valenza, molto attivo nel territorio di Belluno, città di sua provenienza, a cui si debbono la Madonna che allatta il Bambino, firmata e datata 1488, e la Madonna adorante il Bambino. Benché molto guasta, è caratterizzata da suggestiva evidenza volumetrica e da vivo smalto coloristico la Madonna col Bambino tra san Nicolò e san Lorenzo , opera tarda di Giambattista Cima da Conegliano, databile al II decennio del Cinquecento.
Di Lorenzo Lotto è la preziosa, piccola Madonna col Bambino e angeli reggicorona, intensamente spirituale nel suo atteggiamento meditativo, davanti al dolce paesaggio che si apre alle sue spalle. Raffinatissimo nei colori, il dipinto è databile intorno al 1525. Al vicentino Bartolomeo Montagna, pittore formatosi sugli esempi di Giovanni Bellini e di Antonello da Messina, vanno assegnati la Santa Giustina che rivela, nella sua impostazione alquanto rigida, ascendenze vivarinesche e la più tarda Madonna col Bambino e san Giuseppe , di robusta impostazione plastica nelle figure e di lucida stesura cromatica. Marco Basaiti firma la Madonna col Bambino e devoto che viene ritenuta concordemente opera giovanile dell’artista; in essa appaiono evidenti i legami con Alvise Vivarini, col quale il pittore collaborò a lungo, soprattutto per l’uso di una gamma di colori brillanti, dall’effetto quasi di smalto.
38.Vittore Carpaccio. Le Due Dame Veneziane è uno dei più celebri dipinti di Vittore Carpaccio, il grande pittore-narratore veneziano, famoso per i suoi teleri con i cicli di Sant’Orsola, ora alle Gallerie dell’Accademia; di Giorgio, Trifone, Girolamo e Agostino, sin dall’origine nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni; di Santo Stefano, conservati oggi in diverse pinacoteche d’Italia, Francia e Germania. Noto nel passato col titolo , derivatogli dalla letteratura romantica, di Cortigiane, il dipinto presenta, invece, due dame che esibiscono chiari segnali di ricchezza, di nobiltà e di onestà, a partire dagli abiti eleganti e dalle acconciature alla moda. A sottolineare la virtù delle due signore contribuiscono molti elementi simbolici: le perle al collo della più giovane che indicano, infatti, rigorosa osservanza delle regole matrimoniali, oltre che una condizione sociale elevata, così come il candido fazzoletto, segno di purezza; Le tortore, la femmina del pavone e i cani, simboli rispettivamente di pudicizia, di concordia coniugale, di fedeltà e vigilanza di cui si fa garante la donna più matura d’età, somigliantissima alla giovane, e quindi forse madre o sorella; il vaso col mirto, l’arancia, elementi tradizionalmente connessi alla Vergine Maria; in più, lo stemma del vaso identificato con quello dei Preli, antica famiglia cittadina. Il dipinto di eccezionale qualità pittorica, databile tra il 1490 e il 1495 sulla base dei dati storici di costume, risulta mutilo della parte superiore individuata nella tavola, oggi al Paul Getty Museum di Los Angeles, con la Caccia in laguna, che evidenzia, tra l’altro, in basso, il giglio di cui è privo il vaso con lo stemma. Si chiarisce pertanto il soggetto del dipinto che rappresenta due dame, forse un po’ annoiate, in attesa del rientro dalla caccia in laguna dei rispettivi consorti. Opera tarda del Carpaccio è il San Pietro Martire, parte di un polittico originariamente collocato nella chiesa veneziana di Santa Fosca. Disperso in seguito alle soppressioni napoleoniche, due comparti del polittico, con San Rocco e San Sebastiano, firmato e datato, quest’ultimo, 1514, si trovano oggi rispettivamente all’Accademia Carrara di Bergamo e all’Accademia di Zagabria.
39.Carpaccio e i pittori minori del Cinquecento. E’ recente l’assegnazione sicura all’attività giovanile di Vittore Carpaccio, intorno al 1489, della tavola con La Madonna, il Bambino e San Giovannino, nel passato ritenuta una copia di epoca successiva di un dipinto di analogo soggetto oggi a Francoforte, allo Städelsches Kunstinstitut, per il quale non esistono dubbi circa l’autografia carpaccesca. Nonostante i gravi guasti, i restauri eseguiti pochi anni or sono, grazie al contributo del Save Venice Inc., hanno messo in luce le grandi qualità pittoriche del dipinto sul quale, grazie agli esami riflettoscopici, è stato individuato il sottostante disegno che ha evidenziato alcune difformità tra il progetto primitivo e la definitiva stesura. Probabilmente si tratta del dipinto conservato, prima delle soppressioni napoleoniche, alla Giudecca, nel convento di San Giacomo. A un pittore ferrarese-bolognese, tra il 1490 e il 1495, recentemente è stato assegnato il Gentiluomo col berretto rosso , dipinto dalla dibattuta vicenda critica attribuito di volta in volta a differenti artisti e, infine, seppur dubitativamente, a Carpaccio. Che il dipinto, di altissima qualità, debba essere ricondotto in area ferrarese-bolognese sembrerebbe confermarlo anche l’abbigliamento, la mantellina, il giubbotto e, soprattutto, il berretto, estranei all’ambiente veneziano. Lazzaro Bastiani, allievo e collaboratore di Gentile Bellini, ma sensibile anche all’insegnamento di Antonello da Messina, è autore del trittico con la Madonna col Bambino e l’Annunciazione sullo sfondo di uno schematico paesaggio, mentre all’ambito della sua bottega va ricondotta la tela con la Visitazione di Maria Vergine. Gravitanti in orbita belliniana sono Vincenzo da Treviso, detto Dai Destri, la cui Presentazione di Gesù al tempio deriva da un prototipo belliniano; Marco Marziale che denuncia anch’egli il suo debito nei confronti di Giovanni Bellini nella Circoncisione di Gesù, datata 1499; Marco Palmezzano che firma il Cristo che porta la croce e santi , derivato, a sua volta, per iconografia da uno schema belliniano spesso ripetuto dalla bottega. Allievo di Gentile Bellini, Giovanni Mansueti è autore del San Martino e il mendico che evidenzia qualche durezza compositiva, mentre di Pasqualino Veneto, artista di cui si hanno scarse notizie e si conoscono poche opere, probabile seguace di Cima da Conegliano, è la Madonna col Bambino e santa Maria Maddalena, firmata e datata 1496, dalle fredde tonalità bluastre.
40.I pittori belliniani. Originario di Bergamo, Gerolamo Santacroce fu attivo a Venezia dove ebbe una sua bottega. Collaboratore di Giovanni Bellini, non ne dimenticò mai l’esempio nel corso della sua lunga attività. Oltre al Bellini ebbero grande influenza sulla sua produzione di carattere eclettico anche Cima da Conegliano, Lorenzo Lotto, Carpaccio e Giorgione. La Madonna e San Giuseppe è un frammento di una composizione più vasta che doveva rappresentare una Natività. Il colore evidenzia intonazioni e morbidezze di tocco influenzate dal gusto giorgionesco. A Francesco Santacroce, figlio di Gerolamo, aiuto e continuatore della maniera del padre, spettano la Visione di San Girolamo e la Madonna col Bambino, San Giovannino e due angeli, tratto da un dipinto di Parmigianino il primo, di impianto iconografico ancora quattrocentesco il secondo, caratterizzato da un’intonazione fredda di colore nel paesaggio. La Madonna col Bambino tra Santa Giustina e il Battista e la Madonna col Bambino sono opere di Boccaccio Boccaccino, pittore ferrarese ma attivo soprattutto a Cremona, nel cui linguaggio confluiscono elementi belliniani, cimeschi e lombardo-padani. Nella sala sono esposte anche tre sculture cinquecentesche: il Busto di giovane, in bronzo, opera probabilmente di Andrea Riccio; il Busto di Carlo Zen, in marmo, dello scultore Giovanni Dalmata; e la Lapide funeraria di Marcantonio Sabellico, opera della bottega di Pietro Lombardo. Nelle vetrine sono racchiusi oggetti in avorio di manifattura veneziana, francese e tedesca risalenti al XVI e XVII secolo.
41.Madonnari greci del XVI e del XVII secolo. Venezia ebbe sempre stretti rapporti con l’ambiente mediterraneo orientale. La presenza politica della città lagunare a Cipro, Candia e in Morea favorirono lo scambio culturale tra la Grecia e la Serenissima, dove un gran numero di Madonneri, pittori di icone anche di tipo popolare, ebbero botteghe di vasta produzione nella quale elementi arcaici di origine bizantina convivevano con le novità della più aggiornata pittura lagunare. Di formazione veneziana Domenico Theotocopoli, detto El Greco, sensibile all’influenza di Tiziano prima e di Tintoretto poi, è certamente il rappresentante più insigne di questa schiera di pittori. Alla sua attività giovanile risalgono L’ultima cena e Sant’Agostino in preghiera con Cristo crocifisso e la Vergine . Di Giovanni Permeniate, greco attivo a Venezia verso la fine del XVII secolo, è la Vergine in trono tra San Giovanni Battista e Sant’Agostino (?) , unica sua opera firmata, nella quale alla tradizione bizantina si uniscono echi della pittura veneziana cinquecentesca. Emanuele Zane è un altro artista greco, di Candia, attivo nel XVII secolo nella città lagunare, dove era sacerdote nella chiesa di San Giorgio dei Greci, che firma il dipinto con San Spiridione, ai lati del quale compaiono scene della vita e dei miracoli del santo. Attivo a Venezia a partire dal 1648 è Teodoro Pulakis, autore dei due dipinti riuniti in un unico pannello, Sunamite al bagno e re David e la Natività di Gesù , firmata, nei quali predominano i colori brillanti impreziositi da tocchi dorati. A Michele Damaskinos, cretese attivo a Venezia e nel Veneto nella seconda metà del XVI secolo va, forse, attribuito Le nozze di Cana, libera copia da una tela di Tintoretto conservata nella sagrestia della Chiesa della Salute.
42.Maioliche del XV e XVI secolo. La scelta degli importanti esemplari di ceramiche italiane del Rinascimento esposte in questa sala mira a fornire una rassegna delle varie scuole presenti nella collezione del Museo. La grande vasca con Nettuno su cavallo marino è opera di fabbrica pesarese. Nella vetrina a sinistra sono raccolte opere delle manifatture di Urbino, tra cui una fruttiera con grottesche e al centro, le Tre Grazie. Proseguendo verso destra, sono esposte opere di Mastro Giorgio Andreoli da Gubbio: un tondino con stemma, firmato sul rovescio, e una confettiera col busto di Alessandro Magno. Nelle successive vetrine, ceramiche delle manifatture di Casteldurante e di Venezia, tra le quali la piastra col ritratto del doge Tommaso Mocenigo attribuito a Mastro Domenico, e il grande boccale con Peleo e Teti. Nella seconda vetrina lungo la parete d’ingresso e in quella di fronte sono esposte opere di Orazio e Flaminio Fontana, ceramisti attivi tra Casteldurante e Urbino; tra queste spiccano il piatto col Giudizio di Paride di Flaminio e due esemplari di “guastada” (fiasca a corpo schiacciato) con le Quattro virtù cardinali, di Orazio. Seguono opere di fabbrica faentina, tra cui notevole la grande piastra con il Ratto di Elena, datata 1518, e ceramiche di Nicola da Urbino. Le successive vetrine sono dedicate a Francesco Xante Avelli, nato a Rovigo, attivo dal 1530 a Urbino: sua la serie di piatti con soggetti mitologici e la “guastada” con la Morte di Psiche. Sopra la porta di accesso il telero con la Cena di san Domenico, di Leandro Bassano, della fine del XVI secolo.
43.Biblioteca. Le pareti di questa sala sono rivestite da armadi in radica di olmo , su due ordini di gusto classicheggiante, risalenti alla seconda metà del XVIII secolo, in origine nel palazzo Manin sul Canal Grande. Vi sono conservati libri antichi di varia epoca e provenienza. Il leggio di bronzo a forma d’aquila, di tipico stile gotico, è opera probabilmente inglese da datare verso la fine del XV secolo. Proviene dal monastero dei SS. Giovanni e Paolo. Ad Alessandro Vittoria va assegnato il Busto di Tommaso Rangone esposto tra le finestre. Notevole è anche l’imponente lampadario di fabbrica muranese settecentesca. Si conclude qui il percorso sulle collezioni d’arte antica: da questa sala ci si ricongiunge alla scala che riporta al primo piano del museo, nella sala 14.