Museo Correr

Museo Correr

Percorsi e collezioni

Le Sale Neoclassiche e la Collezione canoviana

 

Salone da ballo
Questo ambiente sontuoso e ricco, quasi fiabesco, unico per ampiezza e raffinatezza del decoro in stile Impero, venne progettato da Lorenzo Santi a partire dal 1822 e decorato da Giuseppe Borsato tra il 1837 e il 1838. I lati brevi della sala sono conclusi da logge concepite per accogliere l’orchestra che poggiano su colonne corinzie e trasformano, assieme a due piccole absidi, la parte alta del salone in uno spazio ovale. Al centro del soffitto l’affresco con La Pace circondata da Virtù e Geni dell’Olimpo di Odorico Politi allude alla restaurazione asburgica dopo le vicende napoleoniche.

 

Canova, dal disegno al bozzetto: dall’idea alla forma nello spazio
Provenienti da nuclei collezionistici di illustri figure in personale contatto con Canova (Leopoldo Cicognara, Bartolomeo Gamba, Francesco Aglietti ecc.), spesso quale amichevole omaggio dello scultore, il Museo conserva un importante nucleo di disegni autografi. Legati allo scaturire e al primo sviluppo del processo creativo, sono realizzati in due tecniche favorite dallo scultore, scelte in relazione al grado di approfondimento raggiunto dall’ ‘idea’: la matita per ricercare soggetto e composizione allo stato nascente, oppure ancora da sottoporre al tentativo o alla variante tramite il tratto più mobile e ripassato, ora lieve, ora più marcato; la china, con tratto sicuro, nitido e sottile, in maggiore formato, per soggetti ormai maturi nel gesto, nella posa e nell’espressione, ma ancora da sottoporre a sottili varianti e perfezionamenti puntuali, magari da verificare dal vero, col modello in posa di fronte. Molti dei fogli sono riferibili a soggetti poi divenuti celebri marmi (Le Grazie, I pugilatori Creugante e Damosseno), oppure portati allo stato di modello, ma poi non realizzati in marmo; deliziosi quelli dedicati all’amato tema canoviano della danza. Il notevolissimo gruppo di bozzetti autografi di Canova dimostra magnificamente la sua grande felicità inventiva, nonché straordinaria capacità sintetica di concepire e fissare con immediatezza la forma, libera nello spazio, da se stessa generatrice di ‘spazio’. Materiali docili come l’argilla (poi cotta o lasciata cruda) o la cera, sotto le dita e la stecca dello scultore danno ‘in scala’ forma tridimensionale concreta all’idea nata nell’attimo, oppure la verificano nello spazio dopo il primo passaggio creativo nel disegno; ciò, tanto più nel caso di articolati gruppi di più figure. Nel nucleo spicca la presenza del bozzetto in terracotta che ci restituisce la prima idea, poi variata, che porterà ai celeberrimi marmi di Amore e Psiche giacenti, la piccola terracruda per la Maddalena penitente, gli studi per figure e raggruppamenti destinati al grande Mausoleo funebre per Maria Cristina d’Austria a Vienna. Di grandiosa concezione drammatica è l’articolato gruppo di molte figure con Ercole che saetta i figli, efficacemente reso in cera. Non vero bozzetto, ma compiuto modellino in legno e cera è l’irrealizzato progetto per il Monumento funerario a Francesco Pesaro.

 

Canova, l’esordio: da Venezia a Roma, dal Barocco al Neoclassico
Antonio Canova nacque nel 1757 a Possagno, ai piedi delle prealpi trevigiane, in una famiglia di qualificati scalpellini. Fin da ragazzino istruitosi tecnicamente col nonno e presso le botteghe di valenti scultori tardo-barocchi tra Asolo e Venezia, presto a contatto con gli esponenti più aggiornati ed influenti dell’ambiente veneziano, trovò qui il fondamentale indirizzo culturale classicista e le prime committenze. Grande abilità e sensibilità dimostrano i due precoci Due canestri di frutta (1774) barocchi, eseguiti in marmo per decorare le balaustre dello scalone di Ca’ Farsetti. Con Orfeo ed Euridice (1775-76) – statue in pietra tenera in origine su pilastri del cancello nella villa del senatore Giovanni Falier presso Asolo – il diciottenne scultore dà il suo primo suggestivo saggio di scultura ‘in grande’, mostrandosi ancora assai influenzato dalla eloquenza narrativa e dal gusto pittorico del Settecento. Un approccio subito superato col clamoroso exploit del primo capolavoro dato col gruppo di Dedalo ed Icaro (1777-79) [esposto nella successiva sala], che gli favorì dal 1779 il soggiorno a Roma e là l’indispensabile completamento formativo, a diretto contatto coi modelli originali dell’ Antico, in uno stimolante ambiente cosmopolita dove incontri e frequentazioni furono essenziali sia alla sua maturazione artistica e culturale, sia alla carriera. La definitiva consacrazione quale scultore più avanzato e capace del momento si ebbe a Roma con la realizzazione dei grandiosi Monumenti funebri ai papi Clemente XIV (Basilica dei SS. Apostoli, 1783-87) e Clemente XIII (il veneziano Carlo Rezzonico, in San Pietro, 1783-92). Qui esposti calchi in gesso di parti: Busto di papa Clemente XIII; Busto della Religione; rilievi con Carità e Speranza). Mentre attendeva a quest’ultimo straordinario impegno, quale esercizio artistico personale Canova intraprese la modellazione di una serie di Bassorilievi in gesso (1787-92) ispirati ad episodi tratti dai grandi poemi classici greco-romani di Omero e Virgilio e alla figura di Socrate. In essi lo scultore attua una sintesi ispirata all’Antico, non meno che al Quattrocento fiorentino di Donatello: figure nitidamente profilate, pochi piani di profondità parallelamente scalati; ruolo della linea di posa e del liscio piano di sfondo. Mai tradotti in marmo e riprodotti in gesso in più esemplari, talvolta con lievi varianti, costituirono soprattutto doni dello scultore ad amici, ammiratori e potenziali committenti. Sono qui presenti tre dei bassorilievi più giustamente celebri: La morte di Priamo; La danza dei figli di Alcinoo; Ecuba e le troiane offrono il peplo a Pallade. Inviati nel 1795-96 a Venezia con altri gessi al procuratore Antonio Cappello, egli subito li mise a disposizione dei giovani artisti veneziani nel suo appartamento in questo stesso edificio delle Procuratie nuove. Specie con tali innovative opere Canova già a fine Settecento creò e diffuse un canone neoclassico destinato a enorme fortuna internazionale.

 

Canova e Venezia: Dedalo e Icaro, primo capolavoro
Al centro della splendida ‘Sala delle vedute’ (1811 e seg.ti) – senza dubbio il capolavoro del pittore, decoratore e designer Giuseppe Borsato, felice interprete veneziano del napoleonico ‘Stile Impero’ di Percier e Fontaine – è collocato il gruppo in marmo Dedalo e Icaro (1777-79), capolavoro della giovinezza veneziana di Antonio Canova. L’opera fu realizzata per il procuratore Pietro Vettor Pisani e destinata al suo Palazzo Pisani Moretta sul Canal Grande. In essa il ventenne Canova attuò, con straordinaria genialità d’invenzione, un suggestivo contrapposto tra il canone classico (Icaro) e un particolare naturalismo pittorico settecentesco tutto veneziano, specie ispirato alle ‘teste’ di Giambattista Piazzetta (Dedalo). La sapientissima composizione lega reciprocamente le due figure attorno ad un ‘vuoto’ centrale, chiuso circolarmente dal filo teso tra l’ala e la mano di Dedalo. In una emozionata comunicazione sentimentale e drammatica il padre Dedalo, col dubbioso volto contratto, sta assicurando le ali, formate da penne tenute insieme con la cera, alle braccia del figlio giovinetto Icaro, che lo asseconda con tranquilla fiducia, pregustando la gioia del volo che lo farà fuggire dal labirinto e dalle minacce del Minotauro. Il trattamento della superficie marmorea è pittoricamente vibrante, ancora lontano dalla levigata purezza poi tipica dello stile canoviano. Eloquente marchio dello scultore, postosi in ideale continuità con l’artefice Dedalo, sono il mazzuolo e lo scalpello posati ai piedi del vecchio architetto. La scultura, presentata alla ‘Fiera della Sensa’ (Ascensione) del 1777 con grande successo popolare, fruttò al giovane Canova i 100 zecchini d’oro coi quali intraprendere il viaggio verso Roma; qui il decisivo impatto diretto con l’Antico e il consiglio e il sostegno di varie personalità ne determinarono la decisiva svolta classica e la veloce ascesa alla fama internazionale.

 

Canova, l’Impero, la Gloria: verso il mondo e verso il mito
Monumento funebre di Maria Cristina d’Asburgo, lo scultore iniziò a entrare fatalmente nell’orbita napoleonica poiché gli ideali estetici di cui era osannato alfiere furono dallo stesso Napoleone fatti coincidere con quelli dell’Impero. I Bonaparte gli commissionarono numerose sculture: busto e statua di Napoleone in nudità eroica, Ritratto di Paolina Bonaparte Borghese come Venere vincitrice, Ritratto di Madama madre Maria Letizia, Paride (qui presente il modello in gesso originale per il marmo, 1807) e Le Grazie per l’imperatrice Giuseppina di Beauharnais. Scolpì inoltre opere già celebri ancor prima di essere terminate in marmo, talvolta replicate e variate: Perseo, I pugilatori, Venere italica, Danzatrici, molti bassorilievi funerari, il Monumento a Vittorio Alfieri in Santa Croce a Firenze. Caduto l’impero napoleonico, tornò a Parigi nel 1815 per rivendicare all’Italia i tesori d’arte asportati (per Venezia, tra gli altri, i Cavalli di San Marco). Condotta a buon termine la missione – per questa fu onorato da papa Pio VII col titolo di Marchese d’Ischia di Castro – si spinse fino a Londra dov’ebbe la rivelazione dell’arte fidiaca dinanzi alle sculture del Partenone. Ai suoi ultimi anni appartengono altre celeberrime creazioni, come Teseo e il centauro, Marte e Venere, Endimione ecc. Concentratosi dopo il 1818 sulla nuova chiesa del paese natale (Tempio di Possagno, su sua idea architettonica e finanziamento), specie nelle opere tarde ad essa destinate, rivela un mutamento di sensibilità in senso chiaramente romantico. Morì a Venezia il 13 ottobre 1822 nella casa dell’amico caffettiere ‘Floriàn’ Antonio Francesconi presso il Bacino Orseolo, a pochi passi dall’odierno Museo Correr. La straordinaria e quasi ‘mitica’ fama internazionale goduta in vita da Canova divenne dopo la morte – in Italia e particolarmente a Venezia – un ‘culto’ che univa il valore dell’arte col popolare sentimento risorgimentale di italianità e riscatto nazionale da lui espresso nella carriera, in azioni e in opere evocative (es. la figura dell’Italia piangente del Monumento ad Alfieri). Ciò è qui testimoniato dal singolare Mobile Canova allestito dal ricco commerciante veneziano Domenico Zoppetti per riunirvi strumenti di lavoro, bozzetti, disegni (in gran parte di collaboratori – qui esposti in fac-simile), dipinti autografi (Canova amava la pittura e dipingeva abilmente per diletto – qui esposti in facsimile), cimeli personali, ritratti, oggetti di ottocentesca ‘Canova-mania’. Già posto al centro del piccolo museo creato da Zoppetti nella sua casa presso Strada Nuova, il mobile giunse con le sue collezioni ai Musei Civici nel 1849; smontato nel 1952, è stato ricomposto col recupero integrale delle parti ornamentali intagliate (2015). In una vetrina è esposto un prezioso oggetto personale di Canova: un Servizio da prima colazione in vermeil (cinque pezzi in argento e oro), capolavoro dell’argentiere parigino Jean-Baptiste-Claude Odiot (1810 ca.), in puro design Impero esaltato dalla superba qualità esecutiva dei dettagli cesellati e delle finiture in oro lucido / opaco. Fu un dono offerto allo scultore da Louise-Maximilienne de Stolberg vedova Stuart, Contessa d’Albany, riconoscente per la realizzazione del Monumento a Vittorio Alfieri (Firenze – Basilica di Santa Croce, 1810), che fu suo compagno. Si veda la dedica a Canova apposta sulla custodia originale rivestita in pelle verde [dono al Museo Correr del Comité français pour la sauvegarde de Venise col sostegno di Compagnie Plastic Omnium – 2015]